Intervista con Susanna Turco per Espresso.it, pubblicata il 19 maggio 2015

Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno, fondatrici dell’associazione Doppia Difesa vorrebbero tutelare i bambini dagli insulti incrociati che non di rado i genitori separati gli scaricano addosso, volevano far conoscere la loro proposta di legge (di iniziativa popolare) per far diventare un reato specifico questo tipo di denigrazione, come anche la pratica per cui il genitore affidatario – senza reali motivi – evita artificiosamente la frequentazione tra il figlio e l’ex coniuge. Così, Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno, fondatrici dell’associazione contro la violenza sulle donne Doppia Difesa, si sono trovate al centro di un putiferio . Lettere di proteste ai vertici Rai, mail bombing, critiche feroci da parte di femministe e i centri antiviolenza, l’accusa fra l’altro di volere una norma che danneggerebbe donne e bambini, dando uno strumento in più di prevaricazione ai padri violenti.

La faccenda è scoppiata soprattutto da quando, presentando la norma a “Che tempo che fa?” la showgirl l’ha collegata (e non era per la prima volta) alla Pas, ossia la Sindrome di alienazione parentale, scientificamente non provata, né presente nei manuali di psicologia e psichiatria (ne soffrirebbero i bambini ai quali il genitore affidatario inculca il disprezzo verso l’altro genitore, portandolo a rifiutare di vederlo). Il collegamento ha fatto infuriare le responsabili dei centri antiviolenza, che da tempo segnalano come siano proprio gli uomini violenti a invocare questa “sindrome inesistente” per strappare i figli alle madri, quando queste li accusano di maltrattamenti.

In mezzo al vespaio, abbiamo dunque chiesto all’avvocata Bongiorno, che ha scritto la proposta, di spiegare perché proprio lei, che pure da anni si occupa di violenze sulle donne, abbia voluto intraprendere una battaglia che suona così antifemminista. Insomma, perché mettere in mezzo la Pas? In risposta, una specie di ruggito: “Ma io non voglio affatto normare la Pas, io voglio normare un abuso: chi mi critica non ha letto la mia proposta, che alla Pas non fa cenno”.

Spieghi, allora: cosa vorrebbe fare?
“Sono partita da un dato concreto, che credo quasi tutti conoscano per esperienza almeno indiretta. Spessissimo, nelle separazioni, quando ci sono contrasti tra genitori, uno dei due tende a denigrare l’altro davanti al minore, a istigare odio nel bambino, oppure mette in moto degli artifici per ridurre o evitare la frequentazione tra i due. E’ una condotta che esiste a prescindere da qualsiasi sindrome: è un fatto oggettivo, che allo stato non rientra né nei maltrattamenti, né nelle violenze. E a me non interessa la sindrome, interessa che molti – madri e padri – si sentano legittimati a scaricare sui figli il proprio odio nei confronti dell’ex coniuge. Mi interessa che questo sia trattato come una cosa quasi naturale, normale. Oggi spesso mi sento dire: ‘Chi mi vieta di dire a mio figlio che sua madre è una disgraziata o che suo padre è un disgraziato? Non c’è scritto da nessuna parte che non posso farlo’ . Ecco: secondo me bisogna cominciare a scriverlo. Perché è un abuso della relazione familiare e ci vuole un modo per dire che non si fa”.

E allora perché avete tirato in ballo la Pas?
“Sappiamo che è oggetto di dispute. E’ stata citata, mentre spiegavamo in generale l’argomento, come una delle varie conseguenze psicologiche sui minori che alcuni sostengono esista. Non avremmo mai immaginato che, anziché esaminare la proposta, si inventasse una polemica estrapolando da un discorso molto più ampio una parola che, peraltro, nel testo nemmeno compare. Nella proposta di legge, è bene citarla, si punisce ‘chiunque, nell’ambito delle relazioni familiari o di affido, compiendo in presenza del minore infraquattordicenne ripetute attività denigratorie ai danni del genitore, ovvero limitando con altri artifizi i regolari contatti del genitore con il minore medesimo, intenzionalmente impedisce l’esercizio della responsabilità genitoriale’. Insomma io non voglio normare una sindrome che non so neanche se esiste: voglio normare violenze che esistono e che non voglio siano affari privati, perché voglio tutelare il minore”

Argomentano le avvocate dei centri antiviolenza che l’accusare l’altro genitore di alienazione parentale sia uno strumento che di solito usano in Tribunale i padri, magari violenti, per tentare di strappare i figli alla madre, a volte con un intento persecutorio, altre volte perché questi non vogliono più vederli. E insomma, questa sua proposta di legge sarebbe uno strumento in più, fornito alla parte sbagliata.
“Ritengo gravissimo che accada ciò che ha appena descritto. Ma stiamo parlando di un uso distorto delle norme: un genitore violento che finga sia l’altro a denigrarlo, rappresenta una patologia del fenomeno. E’ però paradossale che allora, per evitare questo uso distorto, si lascino i minori senza tutele. E’ un problema di prova, come per ogni reato. Ma non può diventare un argomento per evitare di dichiararlo un fatto grave, da perseguire”.

Sintesi brutale: il legislatore non può farsi fermare dalle bugie che si raccontano nei processi.
“Nei processi penali esistono i testimoni falsi: e che facciamo, rinunciamo ai testimoni? C’è chi presenta certificati medici falsi pur di arrivare alla prescrizione: ma sono appunto falsi, cioè si compie un reato. E non è che allora, per questo uso distorto della norma, impedisco agli imputati di presentare certificati medici: e se poi sei malato davvero, che fai? Non hai tutele?”

Come si fa a provare la denigrazione?
“Ecco, questo è un punto delicato. E capirei le critiche, se la prova dovesse essere il certificato di uno psicologo, perché nella mia esperienza le relazioni psicologiche che si producono in tribunale possono essere tutto e il contrario di tutto. Ma il punto primario non è provare la sofferenza del minore: è provare la denigrazione, o la sottrazione della responsabilità genitoriale. Si tratta di indicare elementi oggettivi: testimonianze, mail, sms. Uno dice, ma come si fa a provarlo? Lo si diceva anche per lo stalking: ma poi ci si riesce”.

C’è chi dice che il codice già comprende norme adeguate a sanzionare i comportamenti che nuocciono ai figli, che ci sono già gli articolati sui maltrattamenti in famiglia. E dunque perché calcare la mano su un punto già normato, e per di più scivoloso?
“Per la mia esperienza di avvocato, invece, a volte non si riesce nemmeno a fare una querela, perché non ci sono gli estremi di legge per descrivere questo comportamento. Cioè non si riesce a sanzionare perché in Italia o è maltrattamento, o è sottrazione di minore. La fetta di cui parlo è sempre rimasta fuori dalla rilevanza penale, è una terra di nessuno. Ma prima o poi bisogna occuparsene: viene percepito come un male inevitabile, tutto sommato lecito, invece è un abuso”.

Da punire addirittura col carcere da sei mesi a tre anni?
“Lo vede che anche lei tende a sminuirlo? Per tutte le condotte penalmente rilevanti, anche lo stalking e il maltrattamento, è prevista la reclusione, perché sono reati. Dopodiché le pene sono proporzionate: e sappiamo benissimo che se una persona è incensurata, non va in carcere. Infine, è chiaro che le querele vanno fatte se ci sono gli elementi, e parecchi. Chi denuncia per stalking solo per vendetta, rischia di essere querelato a sua volta per calunnia”.

In pratica, dice chi si occupa da vicino di violenza sulle donne, a una madre che denuncia il padre per violenza assistita, corrisponde spesso un padre maltrattante che si appella alla Pas dipingendo la donna come madre malevola che gli aliena il figlio.

“E che le devo dire? Io trovo grave che questo dibattito si faccia sulla patologia, cioè su come strumentalmente possa essere utilizzata una norma, invece che sull’abuso che quella norma vorrebbe sanzionare. La vera paura che suscita, una proposta come questa, è simile ad altre che si diffondono quando si tocca la famiglia: la gente fa un passo indietro, arretra, pensa che siano cose nelle quali non bisogna entrare. E’ accaduto anche per lo stalking, ci vuole del tempo perché la proposta sia accolta. Nell’attesa, proporrei di partire da questo interrogativo: lasciamo questi minori senza tutele?”

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