Pubblicato su Oggi n.25 del 27 giugno 2019.

 
Anche nel mondo dello sport ci sono discipline considerate appannaggio esclusivo degli uomini o delle donne; si pensi, per fare l’esempio più banale, al calcio. Dalle diverse indagini di genere sul tema emergono dati indicativi di una “separazione” tra sport maschili e femminili e altri, sconfortanti, sulla scarsa presenza delle donne nei posti dirigenziali delle diverse federazioni sportive; per non parlare della rappresentazione mediatica, troppo spesso penalizzante, degli sport femminili e delle atlete.

Un Report Istat del 2017 (riferito al 2015) rileva proprio che sport come ginnastica, aerobica, fitness, sport acquatici, danza, ballo, pallavolo sono più diffusi tra le donne; calcio, calcetto, sport invernali, su ghiaccio, altri sport di montagna e sport ciclistici sono scelti invece da pochissime atlete. Ecco qualche numero: il 38,5 % degli uomini pratica il calcio contro l’1,2 % delle donne; il 16,8 % delle donne pratica danza e ballo contro il 2 % degli uomini.

Per altro verso, un lavoro del Centro Studi Coni Servizi, da Monitoraggio Coni-Fsn-Dsa 2017, sulle caratteristiche demografiche degli atleti e degli operatori delle Federazioni sportive nazionali (Fsn) e delle Discipline sportive associate (Dsa), evidenzia elementi di fortissima differenziazione di genere. Nel 2017, anno in cui la quota femminile ha raggiunto il suo massimo storico, le atlete donne erano il 28,2 % contro il 71,8 degli atleti maschi (su 4,7 milioni di tesserati complessivi). C’è poi una nettissima sproporzione tra gli operatori sportivi: oltre quattro su cinque sono di sesso maschile. In particolare: sono uomini l’80,2 % dei tecnici (allenatori, direttori sportivi ecc.); l’81,8 % degli ufficiali di gara (giudici, arbitri ecc.); l’87,6 % dei dirigenti federali e l’84,6 % dei dirigenti societari.

A fronte di ciò non si può non ricordare la Carta dei Diritti delle Donne nello Sport, proposta già nel lontano 1985 dalla Uisp (Unione Italiana Sport Per tutti) e trasformata in una specifica risoluzione dal Parlamento europeo nel 1987. Aggiornata di recente, la Carta si basa sul presupposto che «la qualità di una società dipende dai pari diritti per tutte le persone, incluse le pari opportunità nello sport» e contiene una serie di raccomandazioni rivolte, tra gli altri, a istituzioni, federazioni, società sportive, giornalisti. Vi si afferma, tra l’altro, che donne e uomini devono avere le stesse opportunità di partecipare ai processi decisionali, a tutti i livelli e nell’intero sistema sportivo, con equa rappresentazione nei diversi organismi dirigenziali e nelle posizioni di potere.

A giudicare dai dati del CONI, si direbbe che queste esortazioni non abbiano trovato seguito! Per quanto riguarda invece la rappresentazione dello sport femminile, i mass media – consapevoli del loro fortissimo impatto sullo sviluppo culturale – dovrebbero farsi portatori dei princìpi di uguaglianza di genere, rispettando la dignità di tutti i partecipanti. Purtroppo, invece, a volte i commenti tecnici sono accompagnati da considerazioni sull’aspetto fisico delle atlete: non mi sembra che accada altrettanto quando si commentano le prestazioni degli atleti uomini. Su questo punto specifico, l’associazione Giulia Giornaliste e Uisp ha di recente predisposto un manifesto proprio per dire basta agli stereotipi e ai cliché in materia di donne e sport. Speriamo che i giornalisti ne tengano conto in occasione dei Mondiali di calcio femminile, un evento sul quale sono puntati molti sguardi, non solo in ambito sportivo: le donne si stanno affermando, e con ottimi risultati, in uno sport tipicamente maschile e la Nazionale si è qualificata in un torneo dal quale mancava da circa 20 anni.

A fronte di questo tangibile cambiamento nel calcio qualcuno auspica un adeguamento anche nel linguaggio: da portiere e arbitro a portiera e arbitra, ad esempio. Ma per quale motivo cambiare il genere di termini che indicano un ruolo o un mestiere ecc. solo perché a svolgerlo è una donna? Mi sembra che così facendo si attribuisca maggiore importanza al sesso della persona più che al lavoro o all’attività svolta, creando una differenza inutile se non addirittura dannosa. In ogni caso, un grandissimo augurio al commissario tecnico Milena Bertolini e all’Italia in rosa di quest’anno!

Giulia Bongiorno

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