
Pubblicato su Oggi n.23 del 13 giugno 2019.
Cara Michelle,
sono rimasta scioccata leggendo dei funerali di Lorenzo Sciacquatori, ucciso dalla figlia Deborah. In realtà, lei cercava solo di impedirgli di fare del male alla madre e alla nonna.
Ma durante le esequie, gli amici di lui applaudivano nel ricordarlo e continuavano a dire che era «un grande», che non era un mostro. Sono convinta che le situazioni e le persone siano sempre più complesse di come appaiono, dunque non fatico a credere che questo Lorenzo possa aver dato ad alcuni qualcosa di positivo. Ma è ormai chiaro che abbia lasciato anche segni di dolore profondissimi in chi avrebbe dovuto amare e proteggere… Come possono, amici e conoscenti, tenere conto di una cosa e non dell’altra?
Carolina
Cara Carolina,
la tua lettera apre questioni molto gravi e profonde. Dinanzi alla vicenda a cui fai riferimento – che racchiude in sé il paradosso e la tragedia della violenza domestica elevati alla massima potenza – credo che si possa soltanto tacere e compatire: qualsiasi altra considerazione su quello che è stato fatto (o non è stato fatto) mi sembrerebbe superficiale e inopportuna.
Preferisco quindi, prescindendo dal caso specifico, tentare una riflessione a partire dai due elementi che caratterizzano casi di violenza domestica: l’uomo che si accanisce contro chi dovrebbe amare, rispettare e proteggere; l’incapacità di reagire da parte di chi subisce (per troppo amore, per debolezza, per paura di non essere creduta, per vergogna).
La combinazione di questi due elementi è micidiale e mantenere il silenzio porta sempre a esiti drammatici, quando non addirittura tragici. Purtroppo è difficilissimo che un uomo violento cambi davvero e l’unico modo per salvarsi è parlare, uscire allo scoperto, chiedere aiuto, denunciare. Rispetto al passato, oggi c’è molta più consapevolezza, più solidarietà, ci sono leggi che offrono tutela, ci sono strutture che (come Doppia Difesa) aiutano chi non possiede gli strumenti o le capacità di intraprendere un percorso di denuncia. La violenza non è mai, in nessun caso, un fatto privato. E chi subisce o ha subìto violenza non deve mai credere di essersela meritata; deve al contrario imparare a riconoscerla, a percepire la gravità delle aggressioni fisiche e psicologiche.
Sopportare offese, minacce e maltrattamenti – sottovalutando o cercando di dimenticare – può arrivare a costare persino la vita.
Michelle Hunziker