Pubblicato su Oggi del 27.12.16

Lo scorso 21 dicembre, la Corte Costituzionale ha depositato la motivazione dell’importante sentenza n. 286/2016 che ha ritenuto legittima la possibilità, per le madri, di trasmettere – d’accordo con l’altro genitore – il proprio cognome al figlio, in aggiunta a quello paterno. (Nel nostro ordinamento giuridico manca una espressa previsione al riguardo.)
Si trattava di due genitori desiderosi di attribuire il doppio cognome al figlio minore, cittadino italiano e brasiliano; in Brasile lo avevano già fatto, ma sono incappati nel diniego dell’ufficiale dello stato civile italiano. Si sono rivolti prima al Tribunale – che ha respinto il ricorso – e poi alla Corte d’Appello di Genova, che ha chiesto un intervento della Consulta: riteneva infatti, e con ragione, che la norma che si può dedurre dal sistema normativo italiano nella parte in cui prevede “l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa contraria volontà dei genitori” fosse in contrasto con gli articoli 2, 3, 29, comma 2, e 117, comma 1, Cost. Articoli che sanciscono – tra gli altri – princìpi fondamentali in tema di diritti della personalità e di eguaglianza. Ebbene, la Consulta ha stabilito che questa preclusione implica un’irragionevole diversità di trattamento tra i coniugi – con lesione del diritto di uguaglianza e pari dignità morale e giuridica –, oltre a pregiudicare il diritto all’identità personale del minore – che comporta il diritto del figlio a essere identificato, sin dalla nascita, attraverso l’attribuzione del cognome di ambo i genitori.
Già nel 1988 e nel 2006 la Corte Costituzionale si era occupata della disciplina relativa alla prevalenza del cognome paterno; aveva rilevato, in particolare, come fosse il retaggio di una concezione patriarcale della famiglia e di una tramontata potestà maritale, ormai in contrasto con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna; aveva così auspicato, invano, che il legislatore intervenisse con una rinnovata disciplina. Nel 2009, quando ero Presidente della Commissione Giustizia alla Camera, mi sono impegnata in tal senso, ma purtroppo hanno prevalso maggioranze maschili contrarie. Nel gennaio del 2014, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha condannato l’Italia per violazione del diritto di non discriminazione tra i coniugi, sancendo il diritto dei genitori di decidere se dare ai figli il solo cognome materno. Ma anche a questa condanna non ha fatto seguito alcuna concreta iniziativa legislativa per sanare il disequilibrio; nel settembre del 2014 è stata approvata alla Camera una proposta di legge sul cognome materno che da più di due anni si è arenata in Senato: l’ulteriore dimostrazione del fatto che – come anche per altri casi, per esempio la procreazione medicalmente assistita – il Parlamento è decisamente indietro rispetto ai tempi; e la conferma di una gravissima incapacità di intervento su aspetti delicati e socialmente rilevantissimi, al punto da indurre a intervenire la giurisprudenza, proprio come avvenuto nel caso in oggetto.
Adesso, alla luce di questa sentenza le coppie potranno decidere di comune accordo di dare al figlio il cognome paterno, quello materno o quello di entrambi; in assenza di accordo, però, si continuerà ad attribuire il cognome paterno. In attesa di un intervento legislativo non più differibile, che disciplini in maniera organica la materia secondo criteri realmente rispettosi del principio di parità, questa pronuncia consente – se non altro – di ridurre la mortificazione del diritto della madre a che il figlio acquisti anche il suo cognome. Tuttavia, rimettere al solo accordo dei genitori la possibilità di aggiungere il cognome materno si potrebbe rivelare del tutto inutile, perché buona parte degli uomini – “in ossequio alla tradizione” – finirebbero per imporre il solo cognome paterno. Serve allora la soluzione normativa più radicale: prevedere l’aggiunta automatica del cognome materno; altrimenti, la libertà di scelta per le donne sarebbe solo virtuale, perché sempre subordinata al consenso dell’uomo.

Giulia Bongiorno

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