Nel mese di aprile è stato pubblicato il Rapporto sull’Avvocatura 2022 – Attualità e prospettive future, a cura di Cassa Forense e in collaborazione con Censis.

Nel rapporto si fa il punto sul fenomeno della cosiddetta “femminilizzazione” della professione legale: un processo sociale di lungo periodo che ha portato le donne a una maggior partecipazione nel mondo del lavoro e delle professioni, risultato di un sostenuto accesso alla formazione universitaria e al conseguimento della laurea. Nel contesto dell’Avvocatura – e nello specifico fra gli iscritti alla Cassa Forense – questo processo appare particolarmente evidente: nel 1985 solo il 9,2% degli avvocati iscritti era di genere femminile; ci sono voluti più di 35 anni perché la situazione potesse configurarsi in maniera quasi paritaria.

Tra gli aspetti esaminati nel rapporto c’è quello relativo al reddito delle donne avvocato: il loro reddito medio “è più basso rispetto a quello dell’insieme degli iscritti e in tutte le fasce d’età si rinviene un reddito che è meno della metà rispetto agli avvocati uomini. All’inizio della carriera il reddito tra donne e uomini è quasi equivalente; successivamente la forbice tende ad allargarsi”.
Questo quadro di riferimento ha portato all’inserimento, all’interno della rilevazione del 2022, di una domanda volta a misurare la consapevolezza degli avvocati di questa differenza di reddito e, eventualmente, la percezione delle cause che la determinano.
Ebbene, è emerso che “‘Solo’ il 56,6% degli avvocati afferma che la differenza di reddito corrisponde alla realtà e questa percentuale scende al 31,3% nel caso degli avvocati uomini, mentre sale all’81,9% nel caso di donne avvocato. Fatto 100 chi ha risposto affermativamente all’esistenza della differenza, il 54,2% indica negli impegni familiari e nella difficoltà di conciliare famiglia e professione la causa principale, con una maggiore concentrazione di risposte dal lato degli uomini (66,3%) e una quota di donne che si attesta poco sotto il 50%. Queste ultime tendono a rimarcare la presenza di discriminazioni dal lato della clientela (51,0%) e, soprattutto, a segnalare una valorizzazione non adeguata del proprio lavoro (50,3%, ma su questo emerge la più alta distanza con le risposte degli uomini, i quali scelgono questa opzione solo nel 28,7% dei casi). Sempre dal lato femminile, trovano un minore riscontro le cause che riguardano una sorta di specializzazione delle donne in materie di fatto meno remunerative (13,2%, su questo si allineano anche gli uomini). Tutti gli aspetti analizzati segnalano una maggiore esposizione delle donne avvocato a fattori di rischio che possono provenire dall’esterno della professione e che possono essere generalmente ricondotti all’andamento generale delle attività economiche, ma anche a forme di discriminazione della clientela, a una scarsa valorizzazione del lavoro che svolgono le donne, o ancora a impegni familiari”.

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