
Pubblicato su Oggi del 28.03.17
Ho letto su un quotidiano che, di fronte all’enorme quantità di donne insegnanti, qualcuno ha sollevato dubbi sulla qualità dell’insegnamento che i ragazzi ricevono nelle scuole. Davvero non sanno più che cosa inventare per delegittimare le donne! Non è gravissimo che, anche quando finalmente tante di noi hanno spazio per lavorare – peraltro in un settore importante come la scuola –, si debbano trovare comunque ragioni per criticarci e metterci in discussione?
Bice
La notizia è quella relativa al Rapporto OCSE (Organizzazione per lo sviluppo economico) dello scorso febbraio, intitolato Gender imbalances in the teaching profession (“Squilibri di genere nella professione docente”). Da questo rapporto emerge che in dieci anni – dal 2005 al 2014 – la presenza femminile nelle aule scolastiche dei Paesi dell’Ocse (quelli industrialmente sviluppati) è cresciuta dal 62 al 68 per cento: quasi sette insegnanti su dieci sono donne. Si parla dunque di “femminilizzazione” dell’insegnamento, con una percentuale di donne inversamente proporzionale al crescere dei gradi di istruzione: nella scuola d’infanzia le donne rappresentano il 97 per cento del corpo docente; nella scuola primaria, l’85 per cento; alle medie il 68 e alle superiori il 58. Per quanto riguarda l’Italia, poi, il divario è ancora maggiore rispetto alla media europea. Secondo i dati forniti dal ministero dell’Istruzione, infatti, la percentuale di uomini nelle scuole dell’infanzia è dello 0,7 per cento; nelle primarie arriva al 3,6. Un incremento sensibile si registra solo alle scuole medie (circa 22 per cento) e alle superiori (circa 34 per cento), senza tuttavia arrivare a superare un terzo dell’intero personale docente. Nella scheda dell’OCSE dedicata all’Italia (Uno sguardo sull’istruzione 2016: indicatori dell’OCSE) emerge infatti che quasi otto docenti su dieci sono donne nell’insieme dei diversi livelli scolastici. Non a caso, il 90 per cento dei laureati nel campo dell’insegnamento è di sesso femminile. Nello stesso documento si riporta anche un altro dato: lo squilibrio di genere è molto meno spiccato a livello dirigenziale. Infatti, sebbene il 78 per cento degli insegnanti della scuola secondaria di primo grado sia di sesso femminile, sono donne solo il 55 per cento dei dirigenti scolastici. A peggiorare le cose, il dubbio che pare insinuarsi sulla qualità dell’insegnamento femminile, e quindi sui risultati che ne derivano per gli alunni. A fronte dei dati che ho citato, gli esperti affermano che – data l’entità del fenomeno – sarebbe interessante indagare il potenziale impatto del divario di genere nell’insegnamento, per esempio sui risultati di formazione o di carriera. Una preoccupazione analoga avrebbe inoltre indotto Paesi come il Regno Unito ad attuare politiche che incoraggiano l’assunzione di insegnanti maschi, per attenuare la crescente “femminilizzazione” della professione. Quote azzurre per gli insegnanti, insomma! Sono certa che non c’è alcun bisogno di un simile provvedimento, perché sono certissima che – anche nell’insegnamento – le donne non sono da meno degli uomini: un alunno acquisirà nozioni e formerà il suo bagaglio culturale solo se avrà un docente competente, appassionato e dedito al suo lavoro, uomo o donna che sia; e potrà assorbire anche a scuola valori come eguaglianza e rispetto per l’altro solo se avrà un insegnante che li trasmette innanzitutto con l’esempio quotidiano, indipendentemente dal suo sesso.
Se la massiccia presenza femminile non può e non deve spaventare, fa invece riflettere la tendenza all’“esclusione” delle donne dalle posizioni dirigenziali (anche) in ambito scolastico: quasi a dimostrare, ancora una volta, che gli uomini lasciano spazio alle donne – e anche molto – solo dove c’è meno potere!
Giulia Bongiorno