Pubblicato su Oggi del 08.05.18

Ho seguito la vicenda della ragazza uccisa e poi fatta a pezzi, ritrovati in due valigie abbandonate per strada. Mi ha turbato perché credevo che certe cose succedessero soltanto nei film dell’orrore.
Mirta

Si sono tenuti a Roma i funerali di Pamela Mastropietro, la diciottenne il cui cadavere era stato ritrovato a pezzi nelle campagne di Pollenza (Macerata), lo scorso 30 gennaio. Secondo la Procura della Repubblica di Macerata, Pamela – tossicodipendente – sarebbe stata violentata dal nigeriano Innocent Oseghale mentre era in condizioni fisiche menomate per avere assunto eroina. I risultati degli esami del Ris hanno evidenziato un rapporto sessuale completo tra i due, ma il gip di Macerata ha ritenuto che non vi fossero gravi indizi di colpevolezza per l’accusa di violenza, ipotizzando che tra loro si fosse creato un “clima amicale”. Per la Procura, invece, l’accusa di abuso sessuale sarebbe avvalorata dalla “cura maniacale” con cui Oseghale ha cercato di far sparire le tracce del rapporto violento, lavando il cadavere con la candeggina e asportando gli organi genitali.
Su diversi elementi, dunque, non vi è ancora certezza: c’è stato anche chi – forse per tranquillizzare la comunità, o forse per non alimentare polemiche sull’immigrazione clandestina – ha tentato di far risalire la morte di Pamela Mastropietro a un’overdose. Io sono dell’idea che, se da un lato non bisogna alimentare il razzismo, dall’altro – di fronte a un problema drammatico come la violenza sulle donne – sarebbe sbagliato fingere di non vedere o analizzare i dati con superficialità.
Il caso di Pamela Mastropietro impone una riflessione anche sulle diverse forme che la violenza può assumere: al di là dei tratti comuni, ogni cultura ha infatti modi peculiari di esprimerla. Pamela forse è stata stuprata, ma di certo sul suo cadavere ci si è accaniti con una crudeltà inimmaginabile: è stata scuoiata, scarnificata e smembrata in una specie di esecuzione rituale; quel che è peggio, tra il nigeriano indagato insieme a Oseghale e il suo compagno di cella è stata intercettata una conversazione in cui i due parlano tranquillamente di come Oseghale avrebbe potuto fare sparire il corpo, accennando a modalità orripilanti – cannibalismo incluso.
Ho sempre detto che non ha senso classificare le violenze in base all’efferatezza o alle motivazioni, che sono tutte ugualmente gravi e da condannare senza distinzioni; di certo, però, lo scempio è per noi una forma di violenza particolare e nuova. Proprio la scorsa settimana avevamo scritto di Sana Cheema, la giovane di origini pakistane residente a Brescia, uccisa perché amava un ragazzo italiano. Queste notizie provocano in noi una specie di cortocircuito: vediamo accadere nel nostro paese violenze di un’efferatezza per noi “esotica”, e altre che ci riprecipitano in un passato oscuro dal quale credevamo di esserci affrancati. Le une e le altre ci disorientano e ci sconvolgono perché forte e netta si avverte in esse la ferocia dell’uomo che si sente onnipotente e crede di poter non solo dominare ma addirittura annientare – distruggendola – una donna.

Giulia Bongiorno

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