Pubblicato su Oggi n.3 del 23 gennaio 2020.

Attraverso la Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre, impegnata nella tutela della libertà religiosa, sono venuta a conoscenza della storia di Huma Younus, una quattordicenne pakistana che lo scorso 10 ottobre è stata rapita da tre uomini a Karachi. Huma è una delle almeno mille ragazze cristiane o indù che ogni anno in Pakistan vengono rapite, stuprate, costrette a convertirsi e a sposare il proprio aguzzino, il quale in molti casi, dopo aver abusato della moglie, la ripudia vendendola a un altro uomo o costringendola a prostituirsi – una vera e propria tratta di esseri umani. Purtroppo il sistema giuridico pakistano non tutela adeguatamente né le vittime né le famiglie.
In particolare, in Pakistan i cristiani sono in gran parte analfabeti, o comunque poco istruiti e privi delle risorse economiche necessarie per fare ricorso al sistema giudiziario: le probabilità che vincano contro i rapitori, estremisti musulmani, sono dunque molto scarse.
Secondo quanto riportano le fonti giornalistiche, e secondo quanto asserito dalla Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre, Huma è stata condotta con la forza in una località lontana quasi 600 chilometri da casa sua, è stata violentata, costretta a convertirsi all’Islam e obbligata a sposare il proprio stupratore, un musulmano di nome Abdul Jabbar.
Il padre e la madre della ragazza si sono rivolti alle autorità locali ma, almeno per ora – alla data in cui scrivo – non hanno avuto risultati, nonostante avessero anche fornito i documenti che attestano che Huma ha appena 14 anni, età in cui nella provincia pakistana di Karachi è illegale sia convertirsi sia contrarre matrimonio in assenza del consenso dei tutori legali.
Il caso di Huma è seguito dall’avvocato Tabassum Yousaf, il quale ha riferito ai media di aver già presentato al tribunale di Karachi diversi ricorsi, invano. Anzi, i rapitori avrebbero presentato a loro volta ricorso, pretendendo che l’Alta Corte sottragga Huma alla potestà dei genitori, con la motivazione che in realtà sarebbe ormai maggiorenne. Come se non bastasse, i genitori e il legale sono stati minacciati: l’uomo che ha portato via la loro figlia potrebbe accusarli di blasfemia, imputazione che in Pakistan può comportare la pena capitale. La battaglia giudiziaria si preannuncia insomma durissima, ma per fortuna la Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre ha deciso di farsi interamente carico delle spese legali che la famiglia di Huma dovrà affrontare.
Credo sia molto importate parlare di questa vicenda, per impedire che passi sotto silenzio. È già successo in passato che le pressioni della comunità internazionale e l’eco mediatica abbiano salvato una vita umana: in molti probabilmente ricorderanno la vicenda di Asia Bibi, la contadina pakistana di fede cattolica accusata di blasfemia contro l’Islam e condannata a morte nel 2009, assolta poi dalla Corte Suprema nel 2018 al termine di una vera e propria odissea giudiziaria durante la quale ha ricevuto il sostegno della comunità internazionale e di numerose associazioni per la difesa dei diritti umani.
Ecco perché – per quanto il nostro contributo possa essere modesto – Michelle Hunziker e io, a nome di Doppia Difesa, testimoniamo la nostra solidarietà a Huma e alla sua famiglia.
Giulia Bongiorno

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