
Il 6 marzo è stata presentata un’anticipazione del Rapporto CNEL-Istat sull’occupazione femminile intitolato “Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità”, da cui emerge che – sebbene il lavoro femminile rappresenti una componente essenziale per lo sviluppo economico e sociale – per le donne continua a essere molto difficile accedere al mercato del lavoro e permanere tra le file delle occupate, come pure nella progressione di carriera e nella conciliazione dei tempi di vita.
Una buona notizia è che cresce l’occupazione femminile. Nella prima metà del 2024, pur con alcuni segnali di rallentamento, prosegue la dinamica positiva del mercato del lavoro, con l’aumento dell’occupazione accompagnata dalla diminuzione della disoccupazione e dell’inattività. In particolare, nel secondo trimestre 2024, il tasso di occupazione femminile nella fascia di età 15-64 anni aumenta di 0,9 punti in un anno, mentre quello di disoccupazione cala di 0,8 punti e si attenua la riduzione del tasso di inattività nella fascia 15-64 anni. Nel terzo trimestre si registra un nuovo aumento del tasso di occupazione, che raggiunge 1,4 punti ed è associato al calo del tasso di disoccupazione, in particolare per le donne, mentre il tasso di inattività aumenta leggermente per entrambi i generi. E l’incremento tendenziale del numero di occupate è, per il 71,3%, dovuto alle ultracinquantenni.
Tuttavia, a tale dinamica positiva per le donne fa da contraltare il persistente ampio divario con l’Europa: nel terzo trimestre 2024 il tasso di occupazione femminile risulta inferiore di 12,6 punti alla media dell’Unione europea, rimanendo il valore più basso tra i ventisette paesi Ue e molto distante dalla maggior parte dei paesi. Sempre nel terzo trimestre 2024, inoltre, il gap di genere del tasso di occupazione è quasi doppio rispetto alla media Ue (17,4 punti contro 9,1 punti): anche in questo caso risulta il valore più elevato tra i paesi Ue, molto distante dalla maggior parte di essi.
Uno dei molteplici aspetti del lavoro femminile indagati dal rapporto è la maggiore “vulnerabilità lavorativa” delle donne: nel terzo trimestre del 2024 la distribuzione degli occupati, nei diversi profili, fa emergere ancora una volta forti differenze di genere. Difatti, se tra gli uomini circa sette occupati su dieci possono contare su un lavoro standard (dipendente a tempo indeterminato o autonomo con dipendenti), le donne occupate in questa stessa situazione sono poco più della metà (53,9%). Di contro, quasi un quarto delle donne che lavorano – quasi 2 milioni e mezzo – presenta elementi di vulnerabilità, contro il 13,8% gli uomini. A incidere maggiormente su questo divario è il fatto di svolgere un lavoro a orario ridotto non per scelta: le lavoratrici vulnerabili per part time involontario sono l’8,6% rispetto al 2,5% degli uomini.
Dal documento emerge anche che le madri in coppia hanno un tasso di occupazione decisamente più basso rispetto alle donne single e agli uomini, siano essi single o padri in coppia. Il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni si attesta, nel 2023, sul 52,5% per le donne e sul 70,4% per gli uomini, con un divario di quasi 18 punti percentuali. Tuttavia, se si tiene conto del ruolo in famiglia, i valori medi evidenziano situazioni molto eterogenee: il 69,3% delle donne che vivono da sole ha un impiego; questa percentuale scende al 57,2% tra le madri in coppia (più di 12 punti di distanza dalle single). Tra gli uomini il tasso di occupazione supera il 77% per i single, mentre arriva all’86,3% per i padri in coppia, quasi 30 punti percentuali in più rispetto alle madri in coppia. Il carico familiare rappresenta per molte donne un motivo di rinuncia all’attività lavorativa, soprattutto quando ci sono bambini in età prescolare.
Quasi un terzo delle occupate lavora part time e il 41% delle lavoratrici madri 25-34enni: un’occupazione a tempo parziale permette infatti di ridurre le difficoltà di conciliazione tra carichi familiari e impegni lavorativi. Non a caso, sul totale degli occupati, il 31,5% delle donne (circa 3 milioni) lavora part time, contro l’8,1% degli uomini (circa 1 milione). In particolare, nella fascia di età 25-54 anni l’incidenza tra gli uomini diminuisce ulteriormente: solo il 6,6% degli uomini lavora a tempo parziale, contro il 31,3% delle occupate, e cala ulteriormente (4,6%) in presenza di figli, mentre tra le madri sale al 36,7%.
L’avere figli consolida, infatti, il ruolo di “fonte di reddito” dei padri, simmetricamente a quanto avviene per il ruolo di “dispensatrice di cure” delle madri. In particolare, tra le donne con figli sono soprattutto le 25-34enni a ricorrere al tempo parziale. La quota di part time per le madri cresce all’aumentare del numero di figli, con un picco pari al 48% per le madri più giovani con tre o più figli minori. La scelta del part time è perlopiù riconducibile alla necessità di prendersi cura dei figli o ad altre ragioni familiari, riportate da oltre il 50% delle madri occupate a tempo parziale.
Il Rapporto fornisce dati anche sulle donne che non lavorano: le donne in cerca di lavoro sono poco meno di 1 milione, circa la metà (49,3%) del totale dei disoccupati. Le inattive sono oltre 7,8 milioni, pari al 63,5% del totale degli inattivi nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni. La componente più numerosa è rappresentata dalle madri in coppia (38,6%, oltre 3 milioni).
A differenza delle donne, per gli uomini l’inattività è riconducibile soprattutto a motivi di studio (45,7%) o ad altri motivi (17,7%), mentre i motivi familiari vengono indicati solo dal 2,8% di loro. Tra le madri inattive con figli, la maggior parte (62,2%) non cerca lavoro e non è disponibile a lavorare per motivi familiari, incluso l’accudimento dei figli o l’assistenza a persone anziane o non autosufficienti, motivazione addotta solo dal 4,8% dei padri. Considerevole anche la quota di donne che vivono in coppia senza figli inattive per motivi familiari (37,1%), soprattutto se confrontata con quella degli uomini nelle stesse condizioni (3,4%).