Lo scorso 10 maggio è stato pubblicato da Save The Children il report annuale Le equilibriste – la maternità in Italia 2023, che affronta tra l’altro il tema della persistenza del divario di genere nel lavoro e nella cura familiare.

Dal report emerge, testualmente, lo “svantaggio delle mamme”: per le madri più che per le altre donne, si pone infatti il tema della conciliazione tra lavoro e organizzazione familiare.
“Un indicatore importante in questo senso,” si legge nel testo, “è il rapporto tra tasso di occupazione delle donne di 25-49 anni con figli in età scolare e donne nella stessa fascia d’età e senza figli: nel 2021 questo rapporto è del 73%, ovvero per ogni 100 donne senza figli occupate ce ne sono 73 con figli in età scolare occupate. […] Anche nel 2022 è evidente la disparità nella occupazione per genere e a seconda della presenza o meno di almeno un figlio (minore) nel nucleo familiare. Per gli uomini di età compresa tra i 25 e i 54 anni il tasso di occupazione totale è dell’82,7%, e varia dal 76,1% dei senza figli, crescendo a 90,4% per chi ha un figlio minore, e al 90,8% per chi ne ha due. Per le donne la dinamica è inversa: il tasso di occupazione totale è più basso, 62%, con il picco massimo (67%) tra le donne senza figli, e il picco minimo, 56,1% tra quelle con due figli minori. Nel mezzo le donne con un figlio minore al 63%. Confrontando i tassi di occupazione delle madri con quelli dei padri emerge un quadro netto dei meccanismi sottostanti la partecipazione al mercato del lavoro: se per le madri avere figli riduce il tempo e l’energia da dedicare al lavoro, per gli uomini invece aumenta la motivazione o la necessità di provvedere alla famiglia.”

Interessante è anche la sezione “Il tempo e i modi della cura”, in cui si legge: “Il lavoro di cura, oltre ad essere prezioso per il benessere e la crescita dei figli, ha anche una valenza economica. È stato incluso dall’ILO tra le componenti cruciali per il futuro economico del mondo, chiarendone l’equivalenza in termini di importanza rispetto al lavoro retribuito. Ci sono varie definizioni del lavoro di cura, a seconda delle mansioni che questo prevede. L’ILO distingue tra due attività, quelle dirette e quelle indirette. Tra le prime rientrano le attività di cura personale e relazionale, come allattare un bambino o prendersi cura di un partner ammalato; tra le seconde rientrano attività pratiche come cucinare e pulire. Secondo l’ILO, in Italia, le donne dedicano al giorno 5 ore e 5 minuti di lavoro non retribuito di assistenza e cura mentre gli uomini 1 ora e 48 minuti. Il 74% del totale delle ore di lavoro non retribuito di assistenza e cura grava pertanto sulle spalle delle donne. Secondo gli ultimi dati Istat, anche quando le donne contribuiscono al reddito e al lavoro tanto quanto gli uomini, sono loro a farsi carico della maggior parte del lavoro di cura. Le donne lavoratrici contribuiscono con 2,8 ore in più al giorno rispetto agli uomini, un divario che sale a 4,2 quando ci sono bambini in casa.

L’indagine INAPP-PLUS aiuta a esplorare in dettaglio la distribuzione del lavoro di cura in presenza di figli rilevando una tendenza negli ultimi anni alla riduzione delle differenze di genere nella gestione della cura. Ad esempio, è quasi paritaria la quota di padri e madri che dichiarano di dedicarsi all’accudimento e all’addormentamento dei figli (55% delle madri, 53,2% dei padri), all’accompagnamento dei figli a scuola o a fare sport o altre attività (57,4% per le madri e 55,3% per i padri) mentre risulta più ampio il divario nel caso del sostegno all’attività scolastica (55,9% delle madri e 51,8% dei padri). È di molto interesse il legame tra situazione occupazionale e ruolo di cura in particolare legato all’inattività. Le madri inattive si prendono cura abitualmente dei figli nel 46,6% dei casi contro il 14,1% dei padri inattivi. L’inattività, dunque, dopo la maternità viene scelta in ottica di desiderio o bisogno di dedicarsi ai figli, mentre ciò non avviene per gli uomini”.

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