
Pubblicato su Oggi del 14 giugno 2018.
Ho letto che una bimba del Bangladesh di soli dieci anni, che vive a Milano, stava per essere costretta dal padre a tornare nel loro paese per sposare un uomo! Mia figlia ha la stessa età: mi si è stretto il cuore pensando alla paura e al dolore di questa piccola, ma c’è una parte di me che si rifiuta di credere che davvero al giorno d’oggi possano ancora succedere certe cose.
Caterina
Invece purtroppo succedono, anche se vogliamo credere che succederanno sempre meno. Nello specifico, però, c’è una bella notizia: la mamma della bambina ha trovato il coraggio di ribellarsi e ha salvato, oltre alla piccola, anche se stessa.
Secondo quanto è stato raccontato, Malijka, quarantun anni, viveva in una cittadina del Bangladesh insieme ai genitori, due fratelli e una sorella; circa dieci anni fa si era sposata con l’uomo che le era stato imposto dalla famiglia, nel rispetto delle “regole” locali. Il marito l’ha messa incinta e, un paio di mesi dopo le nozze, l’ha lasciata per trasferirsi in Italia; è rimasto a lavorare nel nostro Paese per nove anni, durante i quali non ha mai rivisto moglie e figlia, dopodiché è tornato in patria per “riprendersele”. Era la fine del 2016: da allora, Malijka e la bambina sono state praticamente segregate in casa, senza poter frequentare nessuno, nemmeno i vicini. La bambina non è mai andata a scuola, ma è stata avviata alla lettura del Corano. Dopodiché, il padre padrone ha deciso di riportarla in Bangladesh per darla in sposa all’uomo (ventidue anni) da lui scelto.
Possiamo solo immaginare la disperazione di Malijka, che alla fine – non sapendo come fare per salvare la figlia, e quando erano già stati acquistati i biglietti aerei – ha strappato il passaporto. Il marito non si è dato per vinto: si sarebbe subito recato in questura per denunciare lo smarrimento del passaporto e poi al consolato del Bangladesh per ottenerne un duplicato. Malijka però nel frattempo aveva trovato il coraggio di denunciarlo per maltrattamenti in famiglia; in seguito alla denuncia, la bambina – ascoltata in audizione protetta – avrebbe confermato al giudice di aver sentito i genitori discutere del suo matrimonio “da fare a tutti i costi”. È in corso un processo, ma intanto madre e figlia sono state prese in carico dai servizi sociali e ospitate presso una casa d’accoglienza.
Questa storia, come molte altre, fa emergere stridenti contrasti fra culture differenti che non è facile integrare, benché siano in gioco diritti umani fondamentali come quello all’autodeterminazione femminile. Per altri versi rappresenta però un’eccezione: Malijka è riuscita ad acquisire una nuova consapevolezza di sé e si è resa conto che certe imposizioni non possono e non devono essere tollerate, che bisogna opporsi e denunciare, anche per evitare la trasmissione intergenerazionale delle violenze. A me piace pensare che abbia trovato la forza di reagire proprio per risparmiare alla bambina quello che lei stessa aveva subìto, e dunque è come se madre e figlia si fossero aiutate a vicenda per conquistare la libertà cui hanno diritto.
Giulia Bongiorno