
Pubblicato su Oggi n.3 del 23 gennaio 2020.
Cara Michelle,
per l’inizio del processo contro
il produttore cinematografico Harvey Weinstein a New York, si sono schierate davanti al tribunale anche attrici come Rose McGowan e Rosanna Arquette. Cercano di tenere viva l’attenzione mediatica sul caso: hanno paura che dopo il primo, grande clamore del #MeToo cada tutto nel dimenticatoio e le accusatrici vengano abbandonate a loro stesse… Susy
Cara Susy,
continuare a parlarne (e informare correttamente il pubblico) significa impedire che certi fatti siano, se non dimenticati, ridimensionati e che sopraffazioni e violenze siano derubricate a “corteggiamento insistente” o “avance”. Ho visto in Rete le foto scattate davanti al tribunale: Weinstein cammina appoggiandosi a un deambulatore, ha l’aria sofferente e sembra molto diverso dall’uomo sorridente di prima del #MeToo, quando ogni dettaglio del suo aspetto parlava di successo, potenza, denaro.
Non saprei se davvero, come ha lasciato intendere Rose McGowan, il deambulatore faccia parte di una strategia; di certo, non bisogna dimenticare che più di 80 donne (tra le quali la stessa Arquette) hanno accusato Weinstein di molestie, aggressioni sessuali e stupri e di aver abusato del suo potere (e di quello dei suoi amici) per danneggiare chi non gli cedeva. Mi ha colpito che questa condotta fosse tanto consolidata da avere anche un nome, casting couch, a sottolineare quanto effettivamente pesasse quel che avveniva, o non avveniva, sul “divano” di Weinstein nell’assegnazione di un ruolo. Il tutto realizzato con la connivenza di soci, agenti e impiegati.
È finito il tempo degli abusi sessuali sui posti di lavoro, ha detto la Arquette, come è finito il tempo delle accuse alle vittime, delle scuse formali senza conseguenze e della cultura del silenzio che per anni ha garantito l’impunità a chi abusava del proprio potere.
Ma soprattutto, ha aggiunto, è importante che in questo processo si parli di chi ha commesso i crimini, e non di chi li ha subiti: non bisogna cadere nella trappola di chi vorrebbe distogliere l’attenzione dai reati commessi con obiezioni sulla tempestività e le modalità delle denunce. Molte delle accuse rivolte a Weinstein (che le ha respinte tutte) non sono oggetto del processo – alcune perché relative a fatti accaduti troppo tempo fa e altre perché riguardano fatti avvenuti fuori dallo Stato di New York –, ma il produttore rischia comunque di essere riconosciuto come “predatore sessuale” (accusa che scatta quando si commettono più stupri) e dunque di essere condannato all’ergastolo. Qualunque sia il verdetto, se ne parlerà a lungo e noi ci auguriamo che le vittime abbiano giustizia.