Credits: ANSA/ALESSANDRO DI MEO

intervista di Rossana Campisi per Elle

GIULIA BONGIORNO, AVVOCATO E MINISTRO PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, SPIEGA PERCHÉ, ANCHE NELLA REGIONE PIÙ DIFFICILE PER LE DONNE, NESSUNA DEVE PENSARE CHE LA SUBALTERNITÀ SIA UN DESTINO

Ministro Bongiorno, lei è siciliana e la Sicilia è fanalino di coda in Europa per l’occupazione femminile. Quali sono le ragioni di questo dato?

«Secondo i dati Istat 2018, l’occupazione femminile in Italia è al 49 per cento: siamo penultimi nell’Unione Europea, dove la media è del 63,7 per cento. In Sicilia, si scende al 29 per cento. Nel settore pubblico, invece, non c’è dislivello tra uomini e donne. Il punto è che oggi si finge che la donna sia libera, ma la sua libertà è solo virtuale. Certo, può lavorare, ma al contempo deve occuparsi della casa e accudire i familiari. Aggiungo la mancanza di servizi di sostegno alla genitorialità e un welfare inadeguato che non consente la conciliazione lavoro-famiglia. In Sicilia, e in generale al Sud, la donna è spesso costretta a scegliere, e pesano su di lei condizionamenti atavici».

Che cosa potrebbe chiedere Palermo (e la Sicilia) all’Europa?

«Dovrebbe chiedere maggior sostegno nel finanziamento delle politiche di welfare, e in particolare per i genitori. E dovrebbe ispirarsi ai Paesi europei dove gli uomini partecipano attivamente alla gestione della famiglia e alla cura dei figli. Servirebbe anche una maggiore formazione per i datori di lavoro, che dovrebbero consentire elasticità nei permessi di congedo parentale e fare ricorso al lavoro flessibile. Troppe donne abbandonano il lavoro quando decidono di essere madri, o viceversa rinunciano ai figli per il lavoro. Oggi al Sud si fanno meno figli che al Centro-Nord».

L’Europa ha stanziato fondi per finanziare attività culturali ma sono stati approvati pochissimi progetti inviati dal Sud, e dalla Sicilia in particolare: i soldi sono tornati all’UE.

«Lo scarso utilizzo dei fondi europei è da sempre un problema nazionale. Le lungaggini burocratiche e la scarsa incisività di alcuni decisori non permettono di emanare bandi ad hoc per migliorare i servizi territoriali. Quanto alla Pubblica amministrazione, i dati Ocse 2018 ci dicono che abbiamo i dipendenti pubblici più vecchi d’Europa, e con le professionalità meno qualificate. Serve un ricambio generazionale, al quale stiamo già lavorando».

Cos’altro ostacola il decollo dell’occupazione femminile?

«Il forte tasso di dispersione scolastica delle ragazze del Sud: 15,2 per cento a fronte di una media nazionale dell’11,2».

Cosa dovrebbe fare il governo?

«Pochi giorni fa il Dipartimento del ministero funzione pubblica ha pubblicato un bando di oltre 20 milioni di euro rivolti ai Comuni per mettere in campo servizi a sostegno di donne e famiglie, con modelli innovativi che coinvolgono anche finanziamenti privati. Inoltre, sto per adottare una direttiva sulle pari opportunità nella Pubblica amministrazione, con indicazioni precise per valorizzare il ruolo delle donne. È un aspetto fondamentale, anche perché la violenza è spesso conseguenza della discriminazione: a questo proposito, presto sarà approvata una legge che permetterà tra l’altro alle donne che denunciano di essere ascoltate dal pm entro tre giorni».

Come è cambiata la Sicilia (e la condizione femminile) rispetto agli anni in cui lei l’ha lasciata?

«Dal 1995 divido la mia vita tra Palermo e Roma, dove poi mi sono trasferita. Mia madre, casalinga, è stata fondamentale per me e mia sorella (anche lei avvocato), perché ha permesso a tutti noi di studiare e lavorare, aiutandoci e sostenendoci sempre. Credo che molte donne casalinghe siano decisive nella vita di mariti e figli. Quanto a Palermo, ci sarebbe tanto da fare».

Spesso le donne, in Sicilia, si occupano di turismo o vino. Perché secondo lei?

«I dati di Unioncamere dimostrano una crescita delle imprese femminili nel turismo, nell’intrattenimento e nelle attività sportive (più 30 per cento rispetto al 2014). Molte sono gestite da under 35. Questo dato si presta a una duplice lettura. Da un lato, le donne occupano gli spazi lasciati vacanti dagli uomini. Dall’altro, come attesta il Rapporto Svimez 2019, le donne con più alte competenze professionali abbandonano la Sicilia per occupare posizioni di responsabilità altrove. Negli ultimi 16 anni, ben 1 milione e 800.000 residenti sono andati via. La maggior parte di loro sono giovani e laureati, che difficilmente faranno ritorno».

Una donna siciliana che per lei rappresenta un modello?

«Franca Viola, la prima a ribellarsi al matrimonio riparatore, e in un contesto non facile come il paese di Alcamo. Stiamo parlando di una donna del 1948. Nonostante tutto, è rimasta in Sicilia e ha saputo costruirsi nella sua terra un futuro diverso da quello che la società avrebbe voluto imporle».

 

Consulta la versione in pdf.

CONDIVIDI: