Pubblicato su Oggi n. 5 del 4 febbraio 2021.

 

Cara Michelle,
per la prima volta nella storia, un tribunale ha condannato il Giappone a risarcire le cosiddette “donne di conforto”, e cioè le donne coreane che, durante la Seconda guerra mondiale, furono rinchiuse nei bordelli e costrette a prostituirsi con i soldati giapponesi. È una ferita aperta e sanguinante tra i due Paesi, che scatena polemiche da anni. Quelle donne dovettero subire l’inferno… Però mi chiedo come si possa condannare una nazione per errori che fece 80 anni fa. Mi sembra che, in nome del femminismo a oltranza, si stia un po’ esagerando…
Carlotta

Cara Carlotta, pensa anche solo all’orrore di questa definizione – “donne di conforto” –, passata alla storia per indicare le ragazze e le donne (circa 200.000), perlopiù sudcoreane, ridotte in schiavitù sessuale dall’esercito del Giappone prima e durante la Seconda guerra mondiale. Di fatto, un sistematico sfruttamento sessuale di massa, con stupri, torture e uccisioni. Queste donne furono persino costrette a cambiare il loro nome, per renderlo giapponese: un vero e proprio annichilimento. Non meraviglia che molte si siano tolte la vita. Le sopravvissute hanno vissuto in povertà, isolate, umiliate, ferite nel corpo e nell’anima; oltre ad aver subìto per anni violenze fisiche e psicologiche, si sono portate dietro quel trauma per sempre: in Corea, come in Cina e in Giappone, le loro vicende non sono mai state raccontate o divulgate, intorno al sesso e allo stupro c’era un tabù che non poteva essere superato. Come vedi, persino nelle storie di prostituzione forzata, rapimento e stupro, le donne sono ammutolite dal senso di colpa e dalla vergogna per quello di cui sono state vittime.
Il Giappone riteneva di aver risolto la questione “in modo definitivo e irreversibile” con un accordo bilaterale sottoscritto nel 2015 con la Corea del Sud, ma non aveva riconosciuto le violazioni dei diritti umani commesse dal suo esercito e non si era assunto nessuna responsabilità di tipo legale. Così, nel 2016 alcune delle sopravvissute hanno sporto denuncia al tribunale distrettuale centrale di Seul, capitale della Corea del Sud, e hanno chiesto un risarcimento. Il governo giapponese aveva rivendicato l’immunità che spetta agli stati, ma di fronte ai crimini di guerra e ai crimini dell’umanità questa immunità non è stata riconosciuta: dopo decenni, il risarcimento quindi è arrivato, per le pochissime superstiti e per i loro eredi. Nella motivazione della sentenza si legge che è dovuto loro per “l’estremo dolore fisico e mentale che hanno dovuto subire” per tutta la vita. Io credo, cara Carlotta, che tutto questo abbia a che fare non con il femminismo a oltranza ma con la libertà, dignità e l’umanità. Tre princìpi che non hanno scadenza, né dopo ottant’anni né mai.

Michelle Hunziker

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