Pubblicato su Oggi n. 52 del 31 dicembre 2020.

 
Ho sentito al tg che un grande manager ha deciso di rinunciare al proprio lavoro per favorire quello della moglie e di dedicarsi alla famiglia. Pur apprezzando il gesto, mi è venuto anche da sorridere: in simili contesti, parlare di rinunce o di sacrifici mi sembra un po’ fuori luogo.
Marta

Il manager in questione è Rubin Ritter, 38 anni, uno dei tre amministratori delegati di Zalando, colosso berlinese della vendita online di capi d’abbigliamento. Per diversi anni Ritter ha contributo alla crescita dell’azienda, nata nel 2008 come start-up e oggi attiva in tantissimi Paesi, con milioni e milioni di clienti e collaboratori e – stando alle notizie di stampa – un giro d’affari annuale miliardario; inoltre, sempre secondo quanto riportato dai giornali, Ritter avrebbe di recente concluso un’operazione che ha fruttato quasi 40milioni di euro.
In assoluto, al di là del contesto in cui è maturata, la scelta di quest’uomo rappresenta comunque la rinuncia a un privilegio; ha deciso di fare un passo indietro per permettere alla moglie di dedicarsi alla sua carriera di giudice, che molto probabilmente sarebbe stata messa a dura prova dal secondo figlio in arrivo. Ritter ha dimostrato di tenere nella massima considerazione il lavoro e la posizione della moglie: speriamo che il suo esempio sia d’ispirazione a tanti uomini, anche giovani, che continuano a sentirsi superiori a mogli e compagne e non si pongono nemmeno il problema di condividere con loro la cura della famiglia e della casa (meno che mai, di considerare le eventuali ambizioni professionali altrui).
Da un recente Rapporto pubblicato da Save The Children (un’indagine eseguita da Ipsos su un campione di adolescenti italiani tra i 14 e i 18 anni, per rilevare la percezione degli stereotipi di genere) è emerso tra l’altro che – sebbene il 77% degli adolescenti si dichiari d’accordo sul fatto che, rispetto al passato, nella gestione della famiglia e della casa i compiti sono suddivisi più equamente –, c’è ancora una convinzione diffusa (2/3 degli intervistati) che nella coppia il maschio abbia il compito di proteggere la femmina (78% fra i ragazzi a fronte del 55% delle ragazze); 4 intervistati su 10 pensano inoltre che, sempre all’interno della coppia, una ragazza abbia maggior capacità di sacrificarsi. C’è poi uno zoccolo duro secondo cui affermarsi nel mondo del lavoro è più importante per i maschi che per le femmine (ne è convinto quasi il 40% dei ragazzi, contro il 21% delle ragazze), mentre quasi 1 ragazza su 10 e quasi 1 ragazzo su 5 crede che avere un’istruzione universitaria sia più importante per un maschio che per una femmina.
Questi dati delineano un quadro per niente roseo: ecco perché spero che Ritter faccia proseliti. Dal canto loro, le ragazze troppo spesso sono costrette a scegliere tra lavoro e famiglia: ma anche loro hanno diritto a coltivare sogni e inseguire ambizioni di tipo professionale e conciliare le due dimensioni è possibile, anche se non è facile. In proposito, voglio citare l’esempio della dottoressa Francesca Nanni, da qualche settimana primo procuratore generale donna di Milano. Le donne rappresentano ormai la maggioranza dei giudici, ma quando si considerano gli incarichi direttivi emerge che in tre casi su quattro sono affidati a uomini; addirittura, tra i procuratori generali le donne sono appena il 14%. E invece, donne e uomini sono pari: hanno diritto alle stesse opportunità lavorative e a una suddivisione equa dei carichi familiari.

Giulia Bongiorno

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