Gisèle Pelicot, raccontando la sua drammatica vicenda, ha fatto condannare a 20 anni di carcere il marito che la fece violentare da estranei. «Ha dimostrato che a doversi vergognare sono gli autori degli abusi e non chi li subisce», dice a Grazia Giulia Bongiorno, legale della ragazza che ha accusato di violenza di gruppo Ciro Grillo e tre suoi amici.

di Letizia Magnani, pubblicato su Grazia

«La vergogna deve cambiare lato». È la frase di Gisèle Pelicot, 72 anni, che ricorderemo. La donna ha fatto condannare a 20 anni di carcere il marito che, per dieci, l’ha fatta violentare da estranei. Con lui, altri 50 uomini sono stati ritenuti colpevoli di violenza sessuale. Gisèle Pelicot è un simbolo: ha ricordato che una donna abusata non ha nulla di cui vergognarsi. La vergogna è tutta per i carnefici. Grazia ne ha parlato con la senatrice ed ex ministra Giulia Bongiorno, avvocata e fondatrice, con la conduttrice e attrice Michelle Hunziker, della Fondazione Doppia Difesa e ispiratrice di Codice Rosso, le norme a tutela delle vittime. «Con la Fondazione ascoltiamo le donne che chiedono aiuto, dopo una violenza, e ho raggiunto una certezza: la violenza lascia un segno indelebile. Dentro, perché ci si sente per sempre derubati, trafitti, violati, e fuori, perché, dal momento in cui si sceglie di denunciare, si di- venta bersagli di sguardi indagatori, di critiche più o meno velate, di giudizi e pregiudizi», dice. «Per una donna, denunciare richiede tanto coraggio: deve affrontare non solo la paura della vendetta dell’aggressore, ma anche quella di non essere creduta e di essere giudicata. 

Seguono poi esami e controesami processuali, che le fanno rivivere un’angoscia e un dolore immensi. Senza contare la cosiddetta vittimizzazione secondaria, per il linguaggio colpevolizzante e moralizzante utilizzato, a volte, persino nelle sentenze», dice Bongiorno.

L’avvocata tutela gli interessi della giovane italo-norvegese che ha denunciato per violenza di gruppo Ciro Grillo, Vittorio Lauria, Edoardo Capitta e Francesco Corsiglia: la prossima udienza del processo sarà il 17 febbraio. «Il dibattimento relativo ai processi per violenza sessuale si svolge, su richiesta della persona offesa, per lo più a porte chiuse. Ultimamente, poi, è sempre più diffusa la registrazione video/fotografica dei rapporti sessuali, specie quando la vittima si trova in uno stato di alterazione. Il che significa che foto e video vengono regolarmente visti in aula, a volte circolano attraverso altri canali. Anche per questo è così difficile vincere la tentazione di rimanere in silenzio», spiega Bongiorno. «Con il processo a porte aperte Gisèle Pelicot ha dimostrato una volta di più che a doversi vergognare sono gli autori delle violenze e non chi le subisce. Ma i processi a porte aperte non sono la normalità e fare una scelta diversa non toglie nulla al coraggio di chi, per il solo fatto di denunciare, si è comunque esposto. Le donne che denunciano sono un esempio e un incoraggiamento per tutte coloro che non parlano, nel timore di essere criticate, giudicate e colpevolizzate. Vorrei che nessuna credesse mai di aver “meritato” o “cercato” la violenza, che tutte trovassero la forza di chiedere aiuto. Senza vergogna, e subito», dice Bongiorno.

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