Da Il Corriere della Sera del 10 aprile 2025

Giulia Bongiorno — da penalista, presidente della commissione Giustizia del Senato e fondatrice dell’Onlus Doppia Difesa — a Filippo Turettanon andava riconosciuta l’aggravante della crudeltà?
«In generale viene applicata nei delitti efferati, quando si infliggono alla vittima sofferenze ulteriori a quelle già necessarie a ucciderla. Mostrando l’assenza di pietà che contraddistingue l’uomo civile».

E 75 coltellate non bastano?
«Per la Cassazione non esiste un limite numerico oltre il quale scatta l’aggravante della crudeltà ed è necessario che vengano inflitte sofferenze aggiuntive».

Quindi condivide la motivazione?
«Non mi convince affatto la motivazione addotta per escludere l’aggravante. Ha escluso la crudeltà facendo leva sul fatto che l’imputato aveva agito con inesperienza e inabilità: questo non gli avrebbe permesso di infliggere colpi più efficaci, idonei a provocare la morte istantaneamente. Ma con questo ragionamento si cancella di fatto l’aggravante».

Perché?
«Perché sarebbe applicabile soltanto agli omicidi compiuti da killer professionisti o da esperti di anatomia».

Non andava riconosciuta l’aggravante dello stalking?
«Bisognerebbe conoscere a fondo gli atti per rispondere. La sentenza afferma che non vi è prova dello stato di ansia o di paura che sono necessari a potersi ritenere sussistente il delitto di atti persecutori».

Questa sentenza non dà un segnale negativo, come sostiene la sorella di Giulia Cecchettin che invita a «prendere sul serio» questi fatti?
«Purtroppo, i media hanno dato più rilevanza all’insussistenza dell’aggravante della crudeltà che all’ergastolo inflitto».

Oggi si è incardinato il disegno di legge sul femminicidio. Cambierà qualcosa?
«La violenza non si cancellerà mai del tutto, ma certamente si può e si deve contrastare con una serie di azioni, sul piano sia della prevenzione sia delle sanzioni. In passato la violenza sulle donne era considerata un reato di serie B, con il nuovo reato si ribalta la prospettiva e chi uccide una donna come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna viene punito con la pena più grave: l’ergastolo».

È un testo blindato?
«Su questi temi serve collaborazione con l’opposizione e devo dare atto che in commissione il Pd ha dato disponibilità a discutere. La maggioranza è pronta a recepire ogni suggerimento utile. Senza retorica, sarebbe un bel segnale se ci fosse l’unanimità».

Elena Cecchettin dice che riconoscere le aggravanti avrebbe fatto la differenza. Avrebbe voluto dire che la violenza di genere non è presente solo dove c’è un pugno o il coltello ma molto prima. È così?
«Pone un tema di carattere socioculturale. Anch’io credo che la violenza sia l’altra faccia della discriminazione».

Ma allora che fare?
«Serve parlare di violenza ai ragazzi. Le iniziative introdotte nelle scuole da Valditara vanno in questo senso. La scommessa è insistere su concetti essenziali come il rispetto, cercando di far capire ai più giovani che a volte si sottovalutano le conseguenze delle piccole e grandi discriminazioni».

È un processo lungo. Nel frattempo?
«Un tema decisivo, al quale vorrei che si prestasse particolare attenzione, è la denuncia: di fronte alle prime avvisaglie di una persecuzione bisogna rivolgersi all’autorità giudiziaria. Purtroppo, spesso la vittima tende a pensare di poter gestire la situazione in autonomia. Naturalmente gli organi competenti devono saper valutare il caso e dare una risposta tempestiva e adeguata. Ricordo che esiste il Codice Rosso, pensato appunto come un’ambulanza che corre a sirene spiegate in soccorso di chi denuncia. La velocità, in questi casi, può fare la differenza tra la vita e la morte».

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