Pubblicato su Oggi n. 36 del 9 settembre 2021

A metà agosto, il governo afghano riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto dagli Stati Uniti è capitolato in modo improvviso e inaspettato (almeno per molti di noi) e il Paese è tornato sotto il regime talebano. Sui media si sono susseguite, in un crescendo di drammaticità, notizie e immagini terribili. Una scena mi ha turbato più di ogni altra, persino più di quella degli uomini aggrappati ai carrelli degli aerei in un disperato quanto folle tentativo di fuga: con sgomento e commozione, tutto il mondo ha visto alcune donne afghane che cercavano di mettere in salvo i loro bambini, passandoli oltre il filo spinato ai militari britannici e implorandoli di portarli via – una cosa che spezza il cuore. Scegliere di separarsi dal proprio bambino con la certezza di non rivederlo mai più dà la misura della inesauribile capacità femminile di anteporre a tutto il bene dei figli e dell’angoscia e del terrore in cui sono sprofondate le donne afghane: evidentemente, hanno ritenuto che le dichiarazioni del portavoce del nuovo regime, Suhail Shaheen, circa il fatto che le donne godranno di maggior tolleranza e apertura rispetto a vent’anni fa non fossero molto credibili. E in effetti – secondo le prime notizie arrivate – le donne che hanno provato a criticare il nuovo regime sono state umiliate o picchiate pubblicamente, alcune persino uccise. Impiegate di banche o altri uffici sarebbero state costrette a lasciare il luogo di lavoro. A Herat l’accesso all’università sarebbe stato proibito alle donne e a Kabul sarebbero state chiuse le scuole femminili. Sembra sia stato detto che le donne non possono più uscire di casa senza un uomo che le accompagni. Addirittura, sempre secondo le prime notizie, in diverse città i miliziani talebani starebbero girando casa per casa per rapire tutte le persone di sesso femminile tra i 12 e i 45 anni, con l’intenzione di “reclutarle” come schiave sessuali per il gruppo armato. Stando così le cose, separarsi dai figli è sembrato a tante donne il modo più sicuro di proteggerli: i maschi perché non siano rapiti e addestrati per diventare kamikaze, le femmine perché non debbano affrontare un destino di sottomissione e violenze. La condizione femminile in Afghanistan è stata per secoli difficilissima, per effetto di un retaggio culturale – soprattutto religioso – che voleva le donne completamente assoggettate agli uomini. Molto era cambiato dopo l’11 Settembre, con l’intervento militare americano successivo all’attentato delle Torri gemelle e la caduta del regime islamico, ma adesso si teme che per le donne tornino in vigore regole assurde (e le relative punizioni per chi trasgredisce) che negli ultimi vent’anni erano state decisamente attenuate se non del tutto abolite, come il divieto di uscire di casa se non accompagnate da un tutore maschio, l’obbligo di indossare il burqa, la proibizione di truccarsi e portare gioielli. Si teme, soprattutto, che perdano il diritto di frequentare la scuola e di lavorare. La speranza è che la comunità internazionale riesca a rimanere informata sull’evoluzione della situazione e – eventualmente – a intervenire. In questo clima di incertezza, una cosa è sicura: è nostro dovere continuare a parlare dell’Afghanistan per tenere accesi i riflettori sul dramma che la sua popolazione – soprattutto quella femminile – sta vivendo.

Giulia Bongiorno

CONDIVIDI: