Pubblicato su Oggi n.47 del 29 novembre 2018.

Ho letto che quest’anno il Nobel per la pace è stato assegnato a due persone attive nella lotta alla violenza sessuale e che una di loro è una donna. Mi sembra proprio una bella notizia.
Mariaspina

Il Nobel per la pace 2018 è stato conferito a Denis Mukwege e a Nadia Murad, in riconoscimento dell’impegno profuso per mettere fine all’uso della violenza sessuale come arma in guerre e conflitti armati.
Denis Mukwege è un medico che da sempre si prodiga per aiutare le vittime di violenze sessuali nella Repubblica democratica del Congo, dove nel 1998 ha fondato un ospedale specializzato; ha inoltre messo a punto tecniche innovative per intervenire sugli organi genitali femminili lesionati dagli stupri, in seguito a cui è stato soprannominato “l’uomo che ‘ripara’ le donne”. Il dottor Mukwege ha raccontato che in certi contesti di guerra lo stupro è praticato come strategia: le violenze sessuali, soprattutto su giovanissime, vengono consumate in pubblico alla stregua di riti collettivi finalizzati alla distruzione sistematica di una comunità. Infatti, chi subisce le violenze e chi vi assiste impotente poi fugge dai villaggi per la vergogna, abbandonando tutto quello che ha. Secondo i dati dell’UNRIC (Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite), oggi la stragrande maggioranza delle vittime delle guerre sono civili, per lo più donne; gli stupri, in particolare, hanno lo scopo di seminare il terrore tra la popolazione, disgregare le famiglie e, in alcuni casi, modificare la composizione etnica della generazione successiva. A volte, poi, si fa ricorso allo stupro per contagiare deliberatamente le donne con il virus dell’Hiv o renderle incapaci di procreare.
Nadia Murad è invece una delle tantissime yazide vittime di stupri e abusi da parte dell’Isis. Come si legge nella sua autobiografia, L’ultima ragazza, ha ventun anni quando la sua esistenza viene sconvolta: i militanti dello Stato Islamico irrompono nel suo villaggio, incendiano le case, radunano i maschi adulti per ucciderne seicento a colpi di kalashnikov e rapiscono le donne. Tra le vergini c’è lei, Nadia: separate dalle madri, e “colpevoli” di appartenere a una minoranza che non professa la religione islamica, le giovani vengono private di ogni dignità e ridotte a sabaya, ovvero schiave, merce da vendere o scambiare per soddisfare le voglie dei loro padroni. Dopo mesi di prigionia, Nadia riesce finalmente a scappare: è diventata ambasciatrice Onu e nel 2016 ha ricevuto il premio Sakharov, un riconoscimento che il Parlamento europeo assegna a chi ha contribuito in modo eccezionale alla lotta per affermare i diritti umani in tutto il mondo. Nell’annuncio del conferimento del Nobel riportato dalla stampa, si legge che questa giovane “ha rifiutato di accettare i codici sociali che impongono alle donne di rimanere in silenzio e vergognarsi degli abusi a cui sono state sottoposte. Ha mostrato un coraggio non comune nel raccontare le sue stesse sofferenze e nel parlare per conto di altre vittime”. Nadia, insomma, col suo esempio ci dà un importante messaggio: mai lasciarsi sopraffare dalla violenza, mai rimanere in silenzio.

Giulia Bongiorno

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