Pubblicato su Oggi n. 46 del 18 novembre 2021

 

Ho letto che nel nuovo parlamento islandese sono state elette tantissime donne: non per effetto di meccanismi come le quote rosa, ma in modo del tutto spontaneo. La notizia mi ha entusiasmato, mi ha dato la speranza che nel mondo qualcosa stia davvero cambiando e che presto anche in Italia le donne avranno più opportunità di dimostrare il loro valore. Lei che cosa ne pensa?
Anna

Le elezioni politiche islandesi, tenutesi in settembre, hanno fatto registrare una percentuale di donne nei seggi dell’Althingi, l’Assemblea unicamerale, pari al 48 per cento: dopo una prima conta era addirittura sembrato che fosse stato superato il 50 per cento, e che l’Islanda fosse così entrata in un novero di Paesi extraeuropei come Ruanda (61 per cento circa di donne nella Camera bassa), Cuba (oltre il 53 per cento) e Nicaragua (50,6 per cento). Il 48 per cento è stato comunque sufficiente a superare il precedente primato europeo (47 per cento), che i dati dell’Unione Interparlamentare attribuivano alla Svezia. I numeri dell’Italia sono decisamente più bassi: alle elezioni del 2018 (in cui per la prima volta sono state sperimentate le misure previste dalla legge elettorale n. 165 del 2017 per promuovere la parità di genere nella rappresentanza politica) sono risultate elette in parlamento 334 donne (225 alla Camera e 109 al Senato), circa il 35 per cento; percentuale che comunque colloca il nostro Paese oltre la media del 32,8 per cento dell’Unione europea.
In occasione di queste elezioni l’Islanda si è dunque confermata all’avanguardia sul piano dell’eguaglianza di genere, con esiti sorprendenti nel campo della partecipazione delle donne alla vita politica e istituzionale. Il dato interessante (e incoraggiante) che lei sottolinea è che non hanno operato meccanismi di quote rosa: la massiccia affermazione del genere femminile è stata l’esito puro e semplice di una mentalità diffusa secondo cui donne e uomini hanno le stesse capacità e devono avere le stesse opportunità, di una cultura basata su una reale consapevolezza dell’uguaglianza di genere. Non a caso, negli ultimi dodici anni l’Islanda – che già nel 1961 ha adottato una legge sulla parità di retribuzione ed è stato primo nel mondo a eleggere un capo di stato donna, nel 1980 – è sempre stata in cima alla classifica dei paesi più egualitari stilata dal World Economic Forum. Da tempo, dunque, rappresenta un esempio che, oltre a riempirci di speranza, ci fa capire quanto profondamente ed efficacemente l’educazione e la cultura incidano sui rapporti di genere; vale per tutti i settori, inclusa la politica.
Per quanto riguarda i provvedimenti normativi diretti a inserire quote rosa, so bene che molti – anche tra le stesse donne – sono contrari. Io li considero una medicina amara ma necessaria: se usati con discernimento, e per un periodo determinato, rappresentano una misura efficace per colmare il divario di genere determinato da secoli di fortissima disparità di trattamento tra donne e uomini. Questi provvedimenti sono insomma funzionali a uno scopo importantissimo, non solo in politica: rafforzare la presenza di donne di valore che altrimenti, per effetto di pregiudizi e stereotipi, non troverebbero spazio per emergere e portare il loro fondamentale contributo al bene comune.

Giulia Bongiorno

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