
Nella redazione di questo caso, i nomi utilizzati sono di fantasia.
«Ci è bastato scrivere una mail circa un anno e mezzo fa per essere subito contattate. La vittima non ero io, bensì mia sorella, ma cosa importa? Quando fanno del male a coloro che ami la ferita brucia ancora di più. (…) Sono cose che non penseresti mai che possano accadere proprio a te. E poi succedono. Ti ci ritrovi dentro e sembra un vero incubo. Eravamo sole, lontane dalla famiglia, senza mezzi. Io studiavo e l’unica a lavorare era lei. Per questo mia sorella si era rassegnata a non denunciare la violenza subita. Avevo sentito parlare di Doppia Difesa in tv e decisi di chiamare, perché mai avrei accettato che lei piegasse la testa seppellendo dentro lo stomaco questo dolore. Il processo è in corso. È tutto ancora in salita, ma la mia gemella sta bene ed è assistita dagli avvocati, abbiamo intrapreso insieme il percorso psicologico all’interno della Fondazione. La cosa più bella che abbiamo imparato nell’ultimo anno grazie a Doppia Difesa è il coraggio».