Nella redazione di questo caso, i nomi utilizzati sono di fantasia.

Non potevo credere che quegli occhi fossero di mio padre.
Mi aveva insegnato ad andare in bicicletta e a nuotare, mi aveva detto “brava”e “ti voglio bene”: sono stata una bambina come tante, almeno per un po’. Ho avuto anch’io un papà ma ricordo con fatica i momenti belli, quelli in cui ero certa che mi amasse più di ogni altra cosa al mondo, perché non riesco più a sentirmi speciale come credevo, come ogni figlia dovrebbe. Il fatto è che non sono ricordi felici e sono comunque troppo pochi. Nel tempo, tutto è diventato più nero, un tradimento, una menzogna. Un castello costruito negli anni in cui ancora oggi mi chiedo cosa ci fosse di vero. Voleva soltanto manipolarmi? Mi ha fatto credere di amarmi solo per provare a possedermi? Chi diavolo era quell’uomo?
Papà quando ero piccola per me era un eroe. La persona che sapevo ci sarebbe sempre stata, che mi avrebbe difesa da tutto. La sua mano era grande e rassicurante perché ero convinta che non si sarebbe mai posata su di me se non che per una carezza.

Papà non era quell’uomo che tentò di abusarmi, per lo meno, sul momento, non riuscii a credere che fosse la stessa persona. Mi disse che sarebbe stato più tranquillo se avessi provato prima con lui. Mi spaventai da morire. Mi sentivo paralizzata, mi veniva da piangere e provavo un senso crescente di disgusto. Riuscii a fuggire da quella stanza e portai quell’ultima, orribile sensazione con me per anni. Ancora oggi non riesco a scrollarmela di dosso ma è stata una delle cose che mi ha dato la forza di arrabbiarmi, qualcosa che credo sia stata la mia fortuna. Dicono che la rabbia non faccia bene ma per tanto tempo l’ho trovata funzionale: è una forza che se impari a indirizzare ti permette di diventare più coraggiosa, anche quando sembra che tutto stia crollando. E il mio “tutto”, il mio mondo di sogni, la mia famiglia, il bene, l’amore che avevo per me e per mio padre, tutto si stava davvero sgretolando. Anche la fiducia era diventata qualcosa di lontano, evanescente. Fu un’escalation. Io mi rifiutai e lui provò a convincermi rimproverandomi che se non lo facevo era perché non ero una brava figlia, perché non gli volevo bene abbastanza. Quelle parole mi scavarono dentro e mi fecero male ma sapevo che era giusto che fossi arrabbiata con lui e non volevo più provare quella sensazione, quello sporco che mi si era incollato addosso. Non cedetti e cominciarono le minacce, che poi divennero violenze che, infine, quasi mi uccisero. Ci vollero anni, dovetti diventare maggiorenne prima di decidermi a salvarmi la vita. Anni in cui avrebbe potuto cambiare, curarsi o semplicemente smettere e in cui invece quell’uomo non aveva fatto che peggiorare e rendere peggiore anche la mia vita. Era ormai diventato un mostro che sapevo non aveva conservato nulla di quel papà che non avrò mai più.

Denunciare è stato il passo più difficile anche perché quando si ha paura si fa fatica a mettere insieme le parole, a tornare sui ricordi. E poi io non mi fidavo: denunciare significa anche mettersi nelle mani di qualcun altro, significa chiedere aiuto e io sentivo di non avere più nulla e che tutto il mondo fosse sbagliato. Non c’era posto per me. Ma ho continuato comunque perché avevo bisogno di “aiutarmi”, lo dovevo a me stessa, perché meritavo qualcosa di diverso da quella vita che non avevo scelto. Fu difficile iniziare e proseguire quasi peggio. La denuncia non esaurisce tutto. Serve un avvocato e quante ragazze appena maggiorenni possono permettersene uno? Nella disperazione feci quello che sono abituata a fare: mi misi a cercare una soluzione. Fu così che incappai in Doppia Difesa e per la prima volta incontrai qualcuno che poteva aiutarmi. Sono stata seguita per tutto il processo. Non è ancora finita, il percorso è lungo e anche se la mia fede nella giustizia continua a vacillare, posso dire di avere più fiducia nelle persone, in me stessa, in un mondo in cui non tutte le cose devono per forza andare storte. Ho imparato, negli anni (ne sono trascorsi molti) che non si è mai da soli se lo si desidera, che si può chiedere e a volte ricevere, che la vita rimane un bene prezioso, che il male si sconfigge e che quei ricordi fanno parte di un tempo sul quale il presente, l’amore, la fiducia, avranno sempre la meglio. Anche nella peggiore delle situazioni non bisogna smettere di lottare, non bisogna smettere di sperare perché la vita è una scelta, le cose possono cambiare. Quello che uccide è il silenzio».

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