
Pubblicato su Oggi n.40 dell’11 ottobre 2018.
Provo sempre stupore e tristezza quando leggo di donne maltrattate per ragioni legate a convinzioni religiose: l’obbligo di indossare il velo, di non mostrare il proprio corpo, di accettare il marito scelto dalla famiglia… È vero che succede anche in Italia? Non pensa che queste violenze siano persino più inaccettabili di quelle commesse dagli italiani?
Antonietta
L’abbiamo detto tante volte, ma è sempre bene ripeterlo: non esistono violenze di serie A e di serie B, la violenza psicologica non è meno (o più) grave di quella fisica e la nazionalità di chi la commette è irrilevante. Le violenze sono tutte gravi e tutte devono essere combattute, denunciate e condannate. Possono assumere forme diverse, ma sono comunque inaccettabili – come le discriminazioni, più o meno esplicite, dalle quali molto spesso traggono origine. Passando alle sue riflessioni, la cronaca ci dimostra che esistono casi in cui in effetti l’integralismo religioso tende a degenerare in violenza: di recente, si è letto sui giornali di due giovani donne (una a Milano e l’altra a Parma) vittime di violenze da parte di uomini originari rispettivamente del Bangladesh e dell’India. La prima è una ventiseienne che dal marzo 2016 – quando è arrivata in Italia dal suo Paese – subiva costanti umiliazioni e aggressioni: tra l’altro perché, a causa del caldo, voleva togliersi il velo islamico e perché il marito non le permetteva di sottoporsi a una visita medica della quale aveva bisogno (non accettava che un altro uomo la toccasse). Dopo l’ennesimo episodio, la giovane si è rivolta ai carabinieri: ha raccontato loro una lunga storia di brutalità e di aver perso il bambino che aspettava a causa delle botte ricevute dal marito, per esempio se osava lamentarsi per essere costretta a cucinare in piena notte (quando lui rientrava dal lavoro). Violenze mai denunciate prima ma che finalmente – stando alle notizie di stampa – hanno fatto sì che l’uomo venisse arrestato per maltrattamenti in famiglia.
A Parma, invece, una ragazza di diciotto anni ha avuto la colpa di innamorarsi di un italiano, mentre la famiglia avrebbe voluto che sposasse un connazionale. Più precisamente, il padre, venuto a conoscenza dei sentimenti della figlia, non ha esitato a minacciarla di tagliarle lingua e gambe e di ucciderla (oltre a chiuderla in casa, picchiarla e impedirle l’uso del cellulare). La ragazza si è ribellata: secondo fonti giornalistiche, dopo l’intervento dei carabinieri – nel corso di una lite tra i due – e dopo una querela sporta dai fidanzati l’uomo è stato arrestato per maltrattamenti, lesioni e tentata violenza privata.
Sono tantissime in Italia le donne che, all’interno delle comunità straniere, vivono in condizioni di totale sottomissione – a volte dettate dal fanatismo religioso. La convinzione che le donne sono esseri inferiori, da proteggere e tutelare nella migliore delle ipotesi e da controllare e punire nella peggiore, spesso è profondamente radicata in molti uomini. Il solo fatto di trovarsi in Occidente non è naturalmente sufficiente a cambiare la loro mentalità: sebbene purtroppo la parità a volte sia più formale che sostanziale, per loro è molto difficile accettare il concetto di uguaglianza tra i sessi. Per le straniere, trovare il coraggio di parlare, vincendo paura e diffidenza, è dunque ancora più complesso di quanto non sia per le italiane, ma denunciare è l’unico modo per sperare di vincere la battaglia contro la violenza.
Giulia Bongiorno