
Pubblicato su Oggi n.43 dell’1 novembre 2018.
Cara Michelle,
ho letto la toccante lettera di Teri Hatcher al presidente Trump. Ha spiegato bene, sulla base della sua terribile esperienza di bambina molestata da uno zio, come una vittima di violenza spesso non ricordi che pochi dettagli di quello che ha subìto… Immagino che magari molte non denuncino proprio per questo, perché hanno paura di non poter sostenere la loro accusa in modo convincente. Secondo la tua esperienza a Doppia Difesa, come si può vincere questo genere di paura?
Carolina
Cara Carolina, avevo seguito la vicenda di Teri Hatcher (molti di voi la ricorderanno come Susan, una delle quattro fenomenali “desperate housewives” del telefilm omonimo), che già due volte aveva denunciato gli abusi subiti da uno zio quando era piccola: la prima nel 2006 e la seconda nel 2014 (ben prima di #metoo), all’Onu, nel corso della Giornata Mondiale contro la Violenza sulle donne. La sua presa di posizione mi ha commosso, soprattutto quando ha detto: “Una donna su tre è costretta ad accettare la violenza come parte della propria vita, a lottare contro la voce nella sua testa che le dice di avere qualche colpa. Ma questa statistica deve cambiare: una donna su tre non può provare la vergogna che le impedisce di chiedere aiuto”. Il suicidio di una ragazzina che era stata abusata da quello stesso zio è stata la molla che, diciottenne, l’ha spinta a rompere il silenzio, vincendo la vergogna e la paura di non essere creduta. Nella sua testimonianza, piena di dolore ma anche ferma e misurata, ho trovato diversi punti di contatto con quanto dicono le donne che chiedono aiuto a Doppia Difesa: Teri Hatcher oggi è una donna matura e un’attrice affermata, dunque si esprime con consapevolezza, ma la memoria “a buchi” (come se la mente mettesse in atto un meccanismo di autodifesa, per proteggersi da troppo dolore), la paura di non essere creduta, la vergogna, la tendenza – nonostante tutto – a minimizzare e il timore di “essersela cercata” sono i temi che affiorano, regolarmente e con nettezza, anche nei discorsi delle vittime di violenza che ho incontrato a Doppia Difesa, per quanto scioccate possano essere. Il lavoro degli psicologi è finalizzato appunto a una presa di coscienza di queste donne: devono capire che quello che hanno subìto è grave, che non le rende meno degne di amore, rispetto e stima, e che non ne sono minimamente responsabili,. Dunque, bisogna incoraggiarle, sostenerle, ascoltarle, aiutandole a comprendere che fermare chi ha fatto loro del male è importante anche perché non faccia a qualcun’altra quello che loro hanno subìto. Aiutarle a ricordare, in modo da mettere insieme una denuncia il più possibile circostanziata, è un altro dei compiti dello staff di Doppia Difesa. Ma senza dubbio chi riceve queste denunce dovrebbe tener presente quello che ha scritto Teri Hatcher nella sua accorata lettera al presidente Trump: “Posso aiutarla a capire come funzionano i ricordi di una persona che ha subìto quel tipo di trauma. ‘Non ricordo” è spesso la risposta più onesta, ma non significa che non sia mai successo.”.
Michelle Hunziker