Da La Repubblica del 13 novembre 2015

Esiste. Non esiste. È una sindrome, no, è un reato. Le più colpevoli sono le madri cattive, no, sono i padri separati, che gettano fango sulle loro ex. Il fantasma che si aggira nei tribunali italiani si chiama “Pas” , “sindrome di alienazione parentale, o più semplicemente “alienazione parentale”. Sempre più giudici la applicano, sempre più esperti ed associazioni la criticano. E se l’ultima sentenza è stata emessa soltanto tre mesi fa, quando il tribunale di Cosenza ha revocato ad una madre accusata di “Pas” l’affido condiviso dei figli, oggi sono tre spot dell’associazione “Doppia difesa” a riaprire il dibattito. Con due fronti opposti ed entrambi al femminile. Da una parte un’avvocatessa famosa, Giulia Bongiorno, e una showgirl altrettanto nota, Michelle Hunziker. Dall’altra le donne dei centri antiviolenza, impegnate ogni giorno nella trincea dei maltrattamenti e dei femminicidi. Al centro un concetto, una tesi, una sindrome psichica per alcuni, che se venisse codificata anche in Italia potrebbe influenzare, non poco, i già tanto travagliati percorsi delle separazioni conflittuali. La “alienazione parentale”, così definita nel 1985 dal discusso psichiatra americano Richard Garner, sarebbe quella sorta di plagio che uno dei due genitori mette in atto nei confronti dei figli, parlando loro così male dell’ex conige, da convincerli a non volerlo più vedere. Una sindrome definita dai centri antiviolenza “Dire” «falsa, inesistente, storicamente utilizzata per criminalizzare le madri e difendere i padri abusanti». La “Pas” è legata ad un caso terribile, scolpito nella memoria di molti: il bimbo di Cittadella portato via a forza dalla polizia per essere affidato al padre, dopo che la madre era stata accusata, dall’ex marito, proprio di “Pas”. Nei video risuonano le urla del bambino. Nel 2014 però la mamma del piccolo (ormai tornato con lei) è stata defitivamente assolta perché “il fatto non sussiste”.

Per Giulia Bongiorno invece l’alienazione parentale non solo esiste, ma è così pericolosa che con la sua associazione “Doppia difesa” (che difende, appunto, donne e minori) ha deciso di scendere in campo per chiedere che questa diventi «un vero e proprio reato». E lo ha fatto con tre spot autoprodotti, e affidati a volti notissimi come Raul Bova e Ambra Angiolini, in cui si evidenziano tre situazioni di madri e padri che “denigrano” agli occhi di una figlia o di un figlio l’altro genitore. Spot che si appellano al pubblico chiedendo “Aiutaci a combattere l’alienazione parentale”. Spiega Giulia Bongiorno: «Nei nostri video si parla di “alienazione parentale”, non di “sindrome di alienazione parentale”. A me quello che interessa è codificare un reato, non certificare una malattia… E questo reato esiste, ho visto de- cine di casi, e a pagarne il prezzo sono i bambini. Con traumi psicologici incalcolabili. Questo non è un fatto privato, come qualcuno mi ha detto, ma una vera e propria violenza sul minore, da punire anche con il carcere. È un abuso di relazioni familiari, ed esistono i modi per accertarla. Però ci vuole una legge, ne sono convinta». Sul fronte opposto un’altra avvocata, Manuela Ulivi, responsabile della casa delle donne di Milano. «Come si fa ad accertare un reato così, nelle sabbie mobili di un rapporto conflittuale? Vincerà chi avrà il consulente di parte più ricco e influente, che spesso nei casi di donne maltrattate è un ex coniuge aguzzino e pericoloso. Come si fa a definire “alienazione parentale” il rifiuto di un bambino, esposto magari per anni alla violenza assistita, a voler frequentare un padre che ha riempito di botte la madre? Eppure, purtroppo, ogni giorno nei tribunali combattiamo contro affidi condivisi concessi nonostante l’evidenza di situazioni di violenza domestica…». Per Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Psichiatria, ogni definizione potrebbe essere arbitraria. «Nei manuali di psicopatologia la parola sindrome non è mai stata accolta. Noi sappiamo che si tratta di conflitti violentissimi sempre ai danni dei più piccoli. Ed è di questa tragedia che ci dobbiamo preoccupare. Non c’è bisogno di nuove leggi, basterebbe applicare con saggezza quelle che ci sono».

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