Giulia Bongiorno per Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS – APS

 

Nel complesso scenario della violenza di genere, un fenomeno particolarmente preoccupante è rappresentato dalla violenza nei confronti delle donne con disabilità: le vittime, che già vivono una condizione di particolare fragilità, subiscono una discriminazione multipla, come specificamente riconosciuto nell’art. 6 della Convenzione ONU del 2006 sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia nel 2009. Nel Preambolo della Convenzione si richiama l’attenzione sul fatto che queste donne corrono il rischio di essere dimenticate, maltrattate e sfruttate, con maggiori probabilità di divenire vittime di violenze e abusi, sia all’interno sia all’esterno dell’ambiente domestico.

Le donne con disabilità sono vittime delle stesse forme di violenza che colpiscono le altre: stalking, violenze sessuali, maltrattamenti commessi da amici, conoscenti, partner e familiari, ma le conseguenze sono amplificate dalla loro vulnerabilità. Spesso, a commetterli sono proprio le persone che dovrebbero prendersi cura di loro; a queste violenze se ne aggiungono altre legate alla specifica condizione di disabilità, come l’abuso farmacologico o il diniego di cure essenziali.

Gli abusi restano più facilmente nascosti: le donne disabili si ritrovano in un’accentuata situazione di isolamento e con una ancor più limitata capacità di chiedere aiuto; più delle altre, rischiano di non essere credute. Inoltre, dipendono dagli altri anche per bisogni primari: la paura di perdere il sostegno le rende ancora più succubi, e al tempo stesso accresce il rischio che la violenza resti sommersa.

Grazie al Servizio per i Sistemi Informativi Interforze della Direzione Centrale della Polizia Criminale, a partire dal 1° ottobre 2022 si hanno finalmente dei numeri sulle violenze commesse nei confronti delle donne con disabilità, riguardo ai consueti reati spia: art. 572 c.p. “Maltrattamenti contro familiari o conviventi”; art. 609 bis c.p. “Violenza sessuale”; art. 612 bis c.p. “Atti persecutori”.

I dati (Min. Interno, Dipartimento Pubblica Sicurezza, “Il Punto”), riferiti al periodo 1° ottobre 2022 – 30 settembre 2023, indicano un totale di 324 reati commessi nei confronti di donne con disabilità.

Più in dettaglio, risultano 238 casi di maltrattamenti contro familiari o conviventi, avvenuti generalmente nell’ambito del nucleo familiare, ma anche all’interno di strutture destinate alla cura e alla protezione di persone con disabilità. In alcuni casi, i maltrattamenti sono stati commessi proprio da coloro ai quali le donne erano affidate per ragioni di educazione, istruzione o cura. Passando alla violenza sessuale, sono stati riscontrati 54 episodi commessi nei confronti di donne in condizione di disabilità sia fisica sia psichica, approfittando del loro stato di particolare vulnerabilità. Infine, le condotte di “atti persecutori” o “stalking” hanno avuto 32 vittime con disabilità e sono state attuate da partner ed ex partner, ma anche da vicini o conoscenti.

Da un’indagine ministeriale precedente, riferita agli anni 2021-2022, risulta inoltre che dello stato di disabilità ci si approfitta anche online: giovani donne vengono contattate sui social network, circuite e indotte a produrre materiale sessualmente esplicito. In alcuni casi si registrano richieste estorsive, anche di natura sessuale, sotto la minaccia di divulgare il materiale pornografico in questione.

Le donne con disabilità sono spesso inconsapevoli dei loro diritti, dunque prive delle informazioni necessarie per rivendicarli. Per loro valgono le tutele sancite dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, e trova applicazione la generale legislazione nazionale in materia di violenza di genere, tra cui la Legge n. 69/2019, il cosiddetto Codice rosso; opera inoltre il riconoscimento della condizione di “particolare vulnerabilità” di cui al D. Lgs. n. 212/2015, di attuazione della cosiddetta “Direttiva vittime” 2012/29/UE, da cui derivano una serie di importanti diritti per la vittima particolarmente vulnerabile, e cui corrispondono specifici obblighi in capo all’autorità e alla polizia giudiziaria.

Per aiutarle è necessario fornire servizi di alta qualità, accessibili e “su misura”, per offrire loro, attraverso personale qualificato, sia informazioni per accrescerne la consapevolezza sia la consulenza e l’assistenza legale specializzate. Ed è importante anche riconoscere quello che subiscono attraverso gli indicatori di violenza, veri e propri campanelli di allarme per chi è in contatto con loro, per chi se ne prende cura e per gli operatori di polizia che intervengono. Gli indicatori possono essere fisici, come lesioni o lividi inspiegabili, o comportamentali, come un’insolita paura di una persona, crisi di pianto, elevata ansia.

Accanto alle attività istituzionali che porta avanti dal 2007 nei confronti delle donne vittime di violenza (offrendo in forma gratuita ascolto, sostegno legale e psicologico attraverso avvocati e personale specializzato; sensibilizzando l’opinione pubblica; sollecitando l’adozione di nuove norme di contrasto), Doppia Difesa ha inoltre stipulato un protocollo d’Intesa sperimentale con un’associazione che opera nel campo della disabilità, proprio per cercare di sostenere al meglio anche donne portatrici di handicap; donne che – come e più delle altre – bisogna rendere consapevoli degli abusi che subiscono: è importate che siano informate sui diritti e le tutele legali cui hanno diritto, perché possano intraprendere la via della denuncia e avviare un percorso di uscita dalla violenza.

La violenza non può essere scambiata per “amore”. Deve al contrario essere riconosciuta anche nelle forme più sottili e subdole (umiliazione, ricatto emotivo, svalorizzazione, colpevolizzazione, disprezzo, isolamento, controllo), che corrono il concreto rischio di degenerare in condotte più gravi (minacce, maltrattamento, violenza sessuale, sino all’uccisione). E, una volta riconosciuta, la violenza dev’essere denunciata.
Insulti, minacce e schiaffi non sono fatti “privati”: perdonare i maltrattamenti, sentirsi in colpa quando ci si ribella, rinunciare a tutelare la propria dignità in nome del quieto vivere sono errori che possono avere esiti fatali. Ma soprattutto, non bisogna mai vergognarsi di chiedere aiuto. E bisogna chiederlo il prima possibile.

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Per conoscere il protocollo citato nel testo consulta Un aiuto concreto per le donne disabili che subiscono o hanno subìto violenza

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