
Pubblicato su Oggi n.43 dell’1 novembre 2018.
Circa un mese fa, una mia amica ha lasciato il suo compagno. Lui non si rassegna: ha cominciato a seguirla e a tempestarla di telefonate e messaggi, più volte al giorno le lascia regali e bigliettini in portineria. Lei li ha rifiutati anche rispedendoli al mittente. Mi sembra che quest’uomo stia esagerando, sono preoccupata.
Colombela
Fa bene a preoccuparsi: condotte come quelle che riferisce potrebbero integrare gli estremi del reato di atti persecutori. Un reato che vede come vittime prevalentemente le donne e come autori, molto spesso, proprio gli ex partner.
Secondo quanto risulta anche da una recente indagine Istat, le forme più diffuse di stalking riguardano la ricerca insistente di parlare con la vittima, i tentativi ripetuti e molesti di entrare in contatto mediante messaggi e telefonate, le lettere e i regali indesiderati, la richiesta di incontri, l’aspettare la donna nei luoghi che frequenta abitualmente, il seguirla, lo spiarla, il danneggiare le sue cose, divulgare sue foto o filmati su internet o sui social network, pubblicare commenti offensivi e imbarazzanti, minacciare di fare del male a lei, ai suoi figli o ad altri a lei vicini. Ebbene, anche e proprio l’offerta di doni non graditi, rifiutati dalla destinataria, può assumere connotati molesti. Ultimamente, infatti, la Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi sullo specifico caso di un ex che ha cominciato a stalkerizzare l’ex fidanzata, anche attraverso l’offerta di doni che lei non desiderava affatto.
La sentenza (Cassazione, Sezione V penale, 26 luglio 2018, n. 35790) ha ribadito alcuni princìpi importanti: innanzitutto, a integrare il delitto di atti persecutori (di cui all’articolo 612 bis c.p.) sono sufficienti anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione ovvero la ripetitività dei comportamenti richiesta dalla norma incriminatrice; poi, ai fini della configurabilità del reato è sufficiente la determinazione anche di uno solo degli eventi di danno previsti, in via alternativa, dall’articolo 612 bis c.p., ovvero cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, ovvero costringere ad alterare le proprie abitudini di vita.
Nel caso esaminato dagli Ermellini, l’imputato aveva posto in essere una serie ininterrotta di condotte vessatorie (telefonate insistenti, messaggi e appostamenti culminati in una violenta aggressione), protrattesi per due settimane e riconducibili al rifiuto di accettare la fine della relazione. In un simile contesto – si legge nella sentenza – anche “la profferta di doni indesiderati – ed in quanto tali declinati dalla destinataria – assume oggettiva portata molesta, configurandosi quale forma di imposizione ed implicita richiesta di ripristino dei rapporti”. In ogni caso la vittima, sfinita dall’ossessiva ingerenza dell’ex nella sua vita, era talmente angosciata e spaventata che, subito dopo la denuncia, aveva lasciato la città e si era resa irreperibile persino ai suoi conoscenti. A questo riguardo la Corte ha chiarito che, ai fini della rilevanza penale, non si richiede che il disagio sofferto dalla vittima a causa della reiterata condotta assillante si traduca in uno stato patologico: è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori (come minacce, pedinamenti, atti di violenza comunque manifestati nel corso di incontri imposti) abbiano un effetto destabilizzante sulla serenità e l’equilibrio psicologico della medesima vittima.
Dunque stia vicina alla sua amica, e se il suo ex continua a infastidirla la incoraggi a rivolgersi a chi può aiutarla, senza perdere tempo.
Giulia Bongiorno