
Pubblicato su Oggi n.23 del 13 giugno 2019.
Ho letto una sua recente intervista dalla quale ho capito che le donne siciliane hanno difficoltà lavorative maggiori rispetto alle altre. Mi piacerebbe sapere se è un caso isolato, o se il problema riguarda tutto il Meridione.
Vittoria
Purtroppo, quando si parla di condizione della donna – soprattutto sul piano lavorativo – le differenze (in negativo) si registrano non solo tra l’Italia e gli altri Paesi europei, ma anche tra il Nord e il Sud della Penisola.
In una nota dello scorso marzo – che riporta alcuni dati di una più ampia ricerca condotta dalla SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) – si legge infatti che la questione femminile è uno dei molti aspetti della Questione meridionale, ovvero la situazione di generale difficoltà del Mezzogiorno rispetto ad altre zone d’Italia.
Al Sud le donne sono generalmente svantaggiate rispetto al Nord, nonostante – si legge nella ricerca – le meridionali riescano comunque ad acquisire conoscenza e formazione che consentirebbero loro di essere competitive sul mercato del lavoro. Il punto è che sono spesso vittime di una società più immobile e ingiusta rispetto al resto d’Italia: sul lavoro vengono dunque sovente sottoutilizzate, marginalizzate.
Nella graduatoria che confronta il tasso di occupazione delle regioni e province autonome italiane con le 276 regioni europee, emerge dunque un divario interno all’Italia: solo la provincia di Bolzano (tasso pari al 71,5 per cento) si posiziona nella prima metà; seguono, in linea con la media europea, le regioni Emilia-Romagna e Valle d’Aosta e la provincia di Trento; tra le regioni del Centro-Nord italiano, Toscana, Piemonte e Lombardia si collocano intorno al 200° posto, le altre in posizioni più arretrate.
Le regioni del Mezzogiorno sono invece tutte in fondo alla graduatoria: in particolare, Puglia, Calabria, Campania e Sicilia occupano gli ultimi quattro posti, con un valore del tasso di occupazione pari al 30 per cento circa (quasi 35 punti al di sotto della media europea).
Ma non è tutto. Al Sud le donne che lavorano non solo sono di meno, ma svolgono anche mansioni prevalentemente dequalificate. Ciò dipende da diversi fattori, tra i quali – non ultima – la persistenza di fenomeni di discriminazione nelle tipologie di lavoro. Secondo dati del 2018, le donne meridionali laureate che hanno trovato occupazione sono pari al 63,7 per cento, contro una media europea dell’81,3 per cento; il dato migliore appartiene nuovamente al Centro-Nord, dove la percentuale è del 79,8. Inoltre, fra le donne meridionali occupate, una su tre lavora al Nord (circa il 62 per cento).
Ancora una volta, dunque, un’indagine di genere condotta sul piano occupazionale ci restituisce una realtà sconfortante che riguarda tutto il Meridione, sulla quale bisognerebbe agire con interventi diversi: innanzitutto, un rinnovamento culturale che porti a una parità reale, e non virtuale, tra donne e uomini e che dovrebbe coinvolgere, tra gli altri, anche i datori di lavoro, spesso diffidenti verso il lavoro femminile.
Poi, un potenziamento dell’offerta dei servizi a sostegno della famiglia e, in particolare, della conciliazione tra bisogni familiari e orari di lavoro. Su questo punto la pubblica amministrazione può giocare un ruolo decisivo: da un lato comportandosi come un datore di lavoro esemplare che rispetta le esigenze delle donne, dall’altro, creando quelle condizioni abilitanti che ne promuovono il ruolo sociale. A questo proposito, ad aprile scorso il Dipartimento della funzione pubblica ha lanciato un bando per comuni capoluogo e città metropolitane che mette a disposizione degli enti locali un Fondo di oltre 21 milioni di euro per progetti sperimentali finalizzati anche alla conciliazione lavoro-famiglia. Senza dimenticare che, nelle coppie con figli piccoli, sono quasi sempre le donne a incontrare le difficoltà maggiori: difficoltà che spesso le costringono a scelte dolorose tra maternità e lavoro. Forse non è un caso se proprio al Sud si registra anche una sensibile riduzione del numero medio di figli per donna.
Giulia Bongiorno