Pubblicato su Oggi del 08.01.17

Non mi stancherò mai di sottolineare quanto sia attuale e concreto per le donne il tema della conciliazione famiglia-lavoro, nonostante spesso si faccia finta che ormai il tema è superato.
Non aiuta a risolvere il problema la “grande finzione”, ovvero il carattere virtuale della libertà e dell’uguaglianza di cui godiamo. Nel concreto della vita quotidiana, le nostre ambizioni e opportunità di carriera si infrangono troppo spesso contro muraglie invisibili: la cura della famiglia e della casa – o meglio, i lavori domestici non retribuiti – corrodono un tempo prezioso che potrebbe essere dedicato per intero al lavoro (come fanno gli uomini). La situazione potrebbe migliorare se mariti e compagni superassero la loro atavica riluttanza verso ogni forma di effettiva ed efficace collaborazione domestica, ma un aiuto significativo potrebbe venire anche dal welfare aziendale. Secondo il Rapporto Mamme 2016 di Save the Children Italia Onlus, le aziende posso fare davvero molto. In particolare – stando a un’indagine ISTAT (Rapporto Annuale 2015, Capitolo 4: Mercato del lavoro, Imprese, Soggetti, Territori da Indagine sul clima di fiducia delle imprese manifatturiere e dei servizi, 2015) in esso richiamata –, il 37% delle aziende italiane ha deciso di rendere flessibile l’orario di lavoro dei dipendenti e delle dipendenti, mentre il 17,5% ha reso disponibili servizi per asili nido, oltre a servizi sociali, di assistenza, ricreativi e di sostegno. Purtroppo si tratta di buone pratiche poco diffuse, sebbene i vantaggi siano molti e notevoli non solo per i lavoratori e le lavoratrici ma anche per le stesse aziende.
Una ricerca di McKinsey & Company (Il welfare sussidiario: un vantaggio per le aziende ed i dipendenti, 2013) dimostra infatti che queste iniziative possono portare a una riduzione (in termini di tempo) delle assenze per maternità e per assistenza agli anziani, unitamente a una maggior disponibilità a lavorare di più. Il che implica, in parallelo, il beneficio economico della riduzione dei costi per assenteismo e turnover dei dipendenti. A questo si aggiunge il vantaggio rappresentato da una più forte motivazione di lavoratori e lavoratrici e da un più forte attaccamento all’azienda, che si ripercuotono positivamente sulla produttività. Infine, l’azienda gode di una migliore reputazione presso la comunità e i propri stakeholder.
Il Rapporto sulla maternità sottolinea anche i lati positivi del cosiddetto Smart Working o lavoro agile: una modalità che permette a lavoratori e lavoratrici autonomia e flessibilità maggiori nella scelta di tempi e spazi nell’organizzazione del lavoro, consentendo di conciliare più facilmente vita familiare e vita professionale. Dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano (Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano) rivelano però che soltanto il 17% delle grandi imprese ha avviato progetti di Smart Working (erano l’8% nel 2014), mentre rimangono indietro le piccole e medie imprese (appena il 5% prevede iniziative strutturate di lavoro agile).
Dal momento che non tutti i lavori sono flessibili e che poche aziende aiutano, è prioritario che le donne pretendano – la scelta del verbo non è casuale – il contributo di mariti e compagni.
Mi auguro che, nel corso del nuovo anno, sul piano culturale e legislativo si verifichino cambiamenti tali da incrementare, da un lato, l’inclusione degli uomini nei compiti di cura e famiglia e, dall’altro, le buone pratiche di welfare aziendale (magari incentivandole anche tramite la leva della fiscalità). Ma questo succederà solo se le donne si dimostreranno in grado di conquistare la collaborazione degli uomini, in una battaglia da combattere con fermezza e intelligenza per approdare a un nuovo modo di lavorare e di attendere alla cura di casa e famiglia.

Giulia Bongiorno

CONDIVIDI: