Pubblicato su Oggi n.21 del 30 maggio 2019.

A volte si crede che essere marito e moglie renda lecite certe pretese, come per esempio quella dell’uomo di avere rapporti intimi, anche contro la volontà della donna.

Non è così, e lo ha chiarito ancora una volta una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 17676, depositata il 29.04.2019) in merito a rapporti di coppia caratterizzati da maltrattamenti. La vicenda è quella di due coniugi: il marito, dedito all’abuso di alcol e disoccupato, infliggeva alla moglie continue violenze fisiche e verbali che rendevano dolorosa una relazione molto conflittuale. In questo contesto di paura e sopraffazione, la donna era anche stata costretta ad accettare rapporti sessuali.

L’uomo era stato condannato in primo e in secondo grado per il reato di maltrattamenti in famiglia e per quello di violenza sessuale, ma ha proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza di appello, contestando tra l’altro la condanna per violenza: ha evidenziato, in particolare, il comportamento ambiguo della donna, che – per esempio – non aveva mai detto al medico di famiglia di aver subìto violenze sessuali; anzi, aveva ammesso di aver accettato gli approcci.

A fronte di questi rilievi, i giudici supremi spiegano che ricorre la violenza sessuale – cosiddetta “per costrizione” – ogni qual volta si incide sulla libertà di autodeterminazione della vittima, costringendola sia fisicamente sia attraverso intimidazioni psicologiche. Non fa alcuna differenza che tra le due persone coinvolte esista un rapporto coniugale: all’interno di un rapporto coniugale, o paraconiugale, “non esiste […] un diritto all’amplesso, né conseguentemente il potere di imporre o esigere una prestazione sessuale senza il consenso del partner” ribadisce infatti la Corte.

L’intimidazione psicologica, in particolare, può rendere la vittima incapace di reagire e può limitare l’espressione della sua volontà: è un aspetto fondamentale di cui tener conto. Di conseguenza, se la vittima ha accettato di fare sesso solo perché temeva conseguenze ben peggiori nel caso in cui si fosse rifiutata, il suo consenso non ha alcun valore.

Allo stesso modo, se nel rapporto di coppia la donna è costantemente sopraffatta, non ha valore il consenso implicito che si può dedurre dall’accettazione dei rapporti sessuali.

In sintesi: se all’interno di una coppia un uomo ricorre ripetutamente a minacce e violenze, può ritenersi provato che quest’uomo sapeva benissimo che la sua compagna subiva contro la sua volontà i rapporti sessuali, anche se di fatto non si opponeva. In un simile contesto, l’accettazione forzata non equivale insomma a un consenso e dunque non esclude il reato di violenza sessuale.

Giulia Bongiorno

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