Lo scorso 12 ottobre, l’Istat ha pubblicato la quinta edizione del Rapporto sui Sustainable Development Goals (SDGs) adottati con l’Agenda 2030 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Nel Goal 5 – uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), riferito alla parità di genere – si riportano diversi dati, riferiti ad esempio all’occupazione delle donne con figli; alla presenza femminile nei consigli di amministrazione (CdA) delle società quotate in Borsa; all’uguaglianza di genere in ambito accademico.

Sul primo aspetto – che riguarda in sostanza la difficoltà delle donne nel conciliare il lavoro con l’organizzazione familiare, soprattutto in presenza di figli piccoli –, si legge che in Italia nel 2021 il tasso di occupazione delle donne di 25-49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni è pari a 53,9%, mentre quello delle donne della stessa età senza figli è di 73,9%. L’indice riferito alla distribuzione del carico di lavoro di cura familiare all’interno della coppia ha fatto registrare un leggero miglioramento rispetto all’anno precedente: la quota di tempo dedicato dalle donne di 25-44 anni al lavoro familiare è pari al 62,6% sul tempo di lavoro complessivo di una coppia in cui entrambi i partner sono occupati; siamo tuttavia ancora lontani da quel 50% che identifica una situazione di perfetta distribuzione del carico di lavoro all’interno della coppia.

Cresce la presenza femminile delle donne nei CdA delle società quotate in Borsa, dove il target fissato dalla Strategia Nazionale per la Parità di genere è il 45%: alla fine del 2021, l’Italia è seconda dopo la Francia (38,8% contro 45,3%) per presenza femminile non solo nei CdA, ma anche nei ruoli di alta dirigenza delle maggiori società quotate in Borsa (la media dei Paesi Ue27 è 30,6%). Se si considerano le sole società italiane quotate in Borsa, la presenza femminile nei CdA sale al 41,2% (+2,4 punti percentuali rispetto al 2020). La percentuale di donne è ancora su livelli estremamente bassi tra gli amministratori delegati (1,9%, nell’ambito di 16 società, rappresentative del 2,4% del valore totale di mercato) e nei ruoli di presidente o presidente onorario (3,5%, per 30 società rappresentative del 20,7% della capitalizzazione complessiva). Rimane stabile la quota di donne in posizioni dirigenziali e intermedie: 23%, contro il target del 35% della Strategia Nazionale per la Parità di genere 2021-2026.

Riguardo infine all’ambito accademico, si legge nel Rapporto che “Le diseguaglianze di genere nascono nel contesto familiare e della formazione, prima ancora che in quello lavorativo dove si consolidano”.
Dai dati emerge che, nonostante le donne iscritte ai corsi di laurea di I e II livello siano stabilmente oltre il 50%, la loro presenza nei percorsi formativi accademici tende a diminuire nel passaggio a quelli post-laurea, e continua a ridursi in quelli successivi: nel 2020 la percentuale di donne titolari di assegni di ricerca è poco più del 48%, scende al 46% tra i ricercatori universitari, al 40% tra i professori associati e a circa il 25% tra i professori ordinari.

L’Università italiana è caratterizzata da fenomeni ben noti negli studi di gender equality, quali la progressiva uscita delle donne dal percorso della carriera accademica una volta conclusa la formazione universitaria; la segregazione orizzontale (la percentuale di donne è inferiore a quella degli uomini nelle aree STEM) e verticale delle carriere, con poche donne che raggiungono la posizione apicale di professore ordinario. Nelle aree STEM la quota di donne laureate nel 2020 è pari al 39%; proseguendo negli studi post-laurea, consegue il dottorato il 42,3% delle donne, con livelli simili a quelli registrati nel 2010. La distanza tra i generi aumenta man mano che si sale nella gerarchia accademica, raggiungendo un valore di circa 57 punti percentuali in corrispondenza della qualifica di professore ordinario (nel 2020 le donne sono il 21,4% e gli uomini il 78,6%).

Nelle aree non STEM si osserva un andamento opposto nel periodo della formazione, mentre l’evoluzione delle carriere rimane sostanzialmente uguale rispetto alle aree STEM. In corrispondenza della qualifica di ricercatore si rileva una sostanziale parità di genere (49,3% di donne a fronte del 50,7% di uomini nel 2020). Tra i professori associati la distanza tra i sessi è di 12 punti a sfavore delle donne e raggiunge i 44 punti tra gli ordinari (28,2% donne e 71,8% uomini). Valori non troppo diversi da quelli osservati nei Paesi Ue27, dove nel 2018 la percentuale di donne che occupano il gradino più alto della carriera accademica nelle aree STEM è pari al 19%. Rispetto al 2010, la percentuale di professori ordinari donna è in aumento (circa +5 punti in entrambe le aree).

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