
Cara Michelle,
sto seguendo gli aggiornamenti sul caso della povera Tiziana Cantone. Gli inquirenti accerteranno se sia stato un suicidio o un delitto, ma più in generale mi chiedevo: quali passi in avanti si sono fatti per contrastare il fenomeno del “revenge porn”?
Carlotta
Cara Carlotta,
ho letto con grande commozione gli articoli che parlavano di questo caso. Riepilogo i fatti: il 13 settembre 2016 Tiziana Cantone viene trovata impiccata; da poco più di un anno aveva scoperto che alcuni suoi video intimi circolavano in Rete su siti porno e questo aveva avuto un impatto durissimo sulla sua vita. Nonostante il dolore e la vergogna, che l’avevano portata prima a trasferirsi altrove per un periodo, e poi a chiudersi in casa, stava combattendo una battaglia legale contro chi li aveva diffusi per ottenerne la cancellazione. Purtroppo, benché avesse vinto la vertenza con piccoli siti locali, era stata da poco condannata a risarcire le spese ai colossi del web e questo aveva aggravato il suo stato di prostrazione. Quando è stata trovata impiccata, si è pensato subito al suicidio. Solo una persona, fin dall’inizio, non ha accettato questa ricostruzione dei fatti: la mamma di Tiziana. Convinta che qualcuno avesse indotto la figlia a suicidarsi, ha cercato in tutti i modi di restituire dignità e giustizia alla sua memoria e ha maturato a poco a poco, sulla base di alcune incongruenze, la convinzione che sia stata uccisa.
In attesa che i fatti siano chiariti, vorrei innanzitutto precisare il concetto di revenge porn: alla lettera, significa “vendetta porno” e indica appunto la condivisione pubblica di immagini o video intimi tramite Internet, senza il consenso dei protagonisti. La diffusione di solito avviene con l’obiettivo di umiliare, per ritorsione o per vendetta. È importante sottolineare che si tratta di un reato. Lo ha introdotto (e lo disciplina) la legge Codice Rosso, entrata in vigore il 9 agosto 2019 e nata da un’idea elaborata da Doppia Difesa per tutelare le donne vittime di violenza. È sanzionato con la reclusione da 1 a 6 anni e una multa che può andare dai 5 mila ai 15 mila euro. La pena si applica anche a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito il materiale, lo diffonde a sua volta per provocare un danno a chi è coinvolto. Il fatto che il reato sia commesso nell’ambito di una relazione affettiva (anche passata), o attraverso l’uso di strumenti informatici, o a danno di una persona con problemi psichici, o su una donna incinta, è considerato un’aggravante.
Prima del Codice Rosso, venivano puniti dalla legge i comportamenti di questo tipo che integravano il reato di pornografia sui minori, ma tante altre condotte rimanevano “scoperte”. Nel tempo questo fenomeno è divenuto un vero e proprio allarme sociale ed era dunque indispensabile offrire maggiore tutela a chi ne è vittima.
Michelle Hunziker