
Pubblicato su Oggi n. 41 del 14 ottobre 2021
Una sentenza dello scorso luglio (Cassazione penale, sez. V, sentenza 12.07.2021, n. 26529) mi offre l’occasione per ribadire a tutte le donne – ma anche agli uomini – un aspetto molto importante del reato di stalking commesso con condotte giustificate come corteggiamenti da parte di presunti “innamorati”; al contempo, la sentenza mi riporta al 2009, quando è stato introdotto in Italia il reato di atti persecutori. All’epoca, quando – nelle vesti di presidente della Commissione giustizia alla Camera dei deputati – sostenevo questa nuova normativa come prioritaria nell’ordine dei provvedimenti da adottare, mi sentivo ribattere con aria di sufficienza: “Vuoi punire gli innamorati?”. Queste critiche mi costringevano a replicare l’ovvio: non è amore, la persecuzione. E ribadivo la necessità di distinguere tra il corteggiamento, sia pure insistente ma legittimo, e la persecuzione da sanzionare, aggiungendo che quelli da punire non erano certo i corteggiatori intraprendenti ma quelli che scambiano le donne per prede.
La vicenda oggetto della sentenza di cui sopra è l’ennesima dimostrazione che corteggiamento e persecuzione sono due cose ben diverse. Un uomo tormentava una donna con ripetute chiamate telefoniche e invio di messaggi, pedinamenti anche in auto, “visite” sul luogo di lavoro, invio di doni, richieste di appuntamenti, dichiarazioni e continui riferimenti a un futuro comune che esisteva solo nella mente di lui. L’insieme di questi comportamenti aveva cagionato nella donna che li subiva un perdurante stato di ansia, stress e paura, costringendola a cambiare le sue abitudini di vita, anche professionale.
L’uomo è stato condannato, in primo e secondo grado, per il delitto di atti persecutori e la Cassazione ha chiarito che non si era affatto trattato di un semplice corteggiamento, ma di comportamenti che – per ampiezza, durata ed evidente connotazione molesta – erano stati idonei a creare nella vittima disagio, imbarazzo, mortificazione e stato d’ansia. Si era infatti trattato di una vera e propria intrusione nella sfera personale, nonostante la donna avesse più volte e apertamente respinto ogni avance, dimostrando di non gradire quelle attenzioni e di non voler condividere programmi e progetti con il molestatore.
Insomma, una condotta ossessiva e molesta, con intromissione continua e sgradita nella vita altrui, rappresenta un comportamento penalmente rilevante, che dev’essere denunciato e punito. Il corteggiatore può dormire sonni tranquilli: basta che non decida di pedinare, molestare e intimorire.
Giulia Bongiorno