
Pubblicato su Oggi del 10.03.17
L’inizio del mese di marzo è stato segnato da una sentenza senza precedenti per il nostro Paese: l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per l’eccessiva lentezza della giustizia in relazione a un caso di violenza domestica.
Siamo a Remanzacco, in provincia di Udine, dove una storia di maltrattamenti, aggressioni e violenze culmina, nel novembre del 2013, con il tentato omicidio di una donna, Elisaveta Talpis, a opera del marito e l’uccisione del figlio diciannovenne. Era cominciato tutto nel 2012, quando dinanzi alle prime condotte violente, Elisaveta prova ad allontanarsi da casa. Invano. Il marito continua a perseguitarla fino a quando, nel settembre di quell’anno, lei presenta formale denuncia per lesioni, maltrattamenti e minacce. Sarebbe stata interrogata per la prima volta solo nell’aprile del 2013: circa sette mesi dopo. In tale occasione avrebbe poi ridimensionato le accuse rivolte al marito, rivedendo le dichiarazioni rilasciate in precedenza. Così, nell’agosto del 2013, il caso viene archiviato.
Ma in novembre Elisaveta chiede ancora l’intervento della polizia a causa di una nuova lite con il marito, che subito dopo viene portato in ospedale in stato di intossicazione. Dimesso, viene identificato da una pattuglia alle due e mezzo di notte mentre vaga ubriaco per strada; viene multato e, purtroppo, rimandato a casa. Qui, circa due ore dopo, aggredisce la moglie con un coltello da cucina e accoltella a morte il figlio, che aveva tentato di intervenire. Mentre Elisaveta cerca di fuggire, viene colpita più volte al petto. Nel gennaio del 2015 l’uomo è stato infine condannato all’ergastolo per omicidio e tentato omicidio, oltre che per porto illegale di armi e per maltrattamenti familiari.
A fronte di questa ricostruzione dei fatti, la Corte di Strasburgo ha stabilito che “non agendo prontamente in seguito a una denuncia di violenza domestica fatta dalla donna, le autorità italiane hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza, che in fine hanno condotto al tentato omicidio della ricorrente e alla morte di suo figlio”. Insomma, è stata contestata all’Italia un’insufficiente tempestività, con violazione di alcuni articoli della Convenzione Europea dei diritti umani e, di conseguenza, la condanna a risarcire Elisaveta Talpis. La sentenza diverrà definitiva entro tre mesi, sempre che lo Stato non faccia opposizione dopo la pubblicazione delle motivazioni.
Questa sentenza ha un valore esemplare e ci offre l’occasione per ribadire ancora una volta l’assoluta necessità di intervenire prontamente nei casi di violenza domestica, prima che sia troppo tardi. Per essere tempestivi bisogna anche dare una formazione specifica agli operatori che ricevono le richieste di aiuto delle vittime, richieste che non possono e non devono mai essere sottovalutate: è essenziale che chi riceve le segnalazioni abbia la sensibilità e gli strumenti per comprendere la gravità delle situazioni che gli vengono sottoposte.
Giulia Bongiorno